Se la fantascienza immaginava il Duemila come il secolo del cibo in pillole, in realtà mangiamo ancora alcuni alimenti risalenti a prima di Cristo. Sul cibo c’è però molta disinformazione e l’industria alimenta falsi miti in nome del profitto.
Dario Bressanini, ricercatore presso il dipartimento di Scienza e alta tecnologia dell’Università dell’Insubria a Como e autore del celebre blog “La scienza in cucina”, con “Le bugie nel carrello”, edito da Chiarelettere, ci accompagna in un supermercato virtuale per rivelarci i segreti di alcuni prodotti e i trucchi del marketing del cibo.
Il consumatore acquista spesso spinto dall’idea della naturalità degli alimenti, ma dietro l’aggettivo “naturale” si nascondono inesattezze quando non veri e propri inganni. Lo scrittore suggerisce fin dalle prime pagine di diventare consapevoli di ciò che si consuma. Saper leggere le etichette può rivelarsi utile sia per migliorare la qualità degli acquisti sia per risparmiare. “Certi scaffali del supermercato espongono prodotti con etichette più adatte al bancone di una farmacia che a un negozio di alimentari”.
Se la televisione o il dietologo di turno pubblicizzano le virtù di una certa sostanza, dopo poco tempo comparirà sulle etichette dei cibi. Così è stato per gli omega 3, i polifenoli, i fitosteroli, la vitamina D, gli antiossidanti, il selenio. “Negli ultimi decenni l’industria alimentare ha scoperto che, per differenziare due prodotti identici, basta aggiungere una sostanza che il consumatore ha imparato a identificare come “benefica” e pubblicizzarla sulla confezione. A volte viene strombazzata sull’etichetta anche quando è presente naturalmente nell’alimento”.
La Selenella, la patata arricchita al selenio, ne è un chiaro esempio. Immessa nel mercato nel 2000 ha subito incrementato le vendite (dalle 4.000 tonnellate del 2000, alle 30.000 del 2009, per arrivare alle 50.000 nel 2011), perché pubblicizzata come la patata che “fa diventare intelligenti”. Il selenio è un micronutriente rilevante come antiossidante, ma in Italia non ne sono state rilevate carenze. Al contrario una dose eccessiva di selenio potrebbe essere dannosa per l’organismo.
Il pomodoro pachino, così gustoso da mangiare soprattutto d’estate, è ”uno dei vanti dell’agroalimentare siciliano e italiano”. Dal 2003 l’area di Pachino, in provincia di Siracusa, insieme ad alcuni paesi limitrofi, può fregiarsi del marchio IGP (Indicazione geografica protetta).
Peccato, però, che i semi siano israeliani!
“Nel 1989 l’azienda sementiera israeliana Hazera Genetics introduce in Sicilia (attraverso la Comes Spa, divenuta poi Cois 94 Spa) due nuove varietà di pomodori: il ciliegino Naomi e il Rita a grappolo”. È il caso di un prodotto tipico italiano la cui origine straniera è stata però a lungo taciuta.
Il Kamut, oggi di gran moda tra i consumatori (l’Italia ne rappresenta il più grande mercato, con metà delle vendite globali), non è l’”antico grano dei faraoni” dalle qualità sorprendenti, ma un marchio registrato il 3 aprile 1989. Di egiziano il Kamut ha solo il nome. Allora perché spendere di più?
Le bugie nel carrello sono ancora molte: alcune mozzarelle di bufala, che si fregiano del marchio DOP (Denominazione di origine protetta), sono prodotte in realtà con latte vaccino (come ha messo in evidenza una ricerca dell’Università di Padova effettuata nel 2007 su 64 campioni di 37 marchi differenti); il vino viene valutato migliore all’aumentare del prezzo; il tonno più buono non è “quello che si taglia con un grissino”, come recita una nota pubblicità, perché in quel caso sono solo residui della lavorazione.
È l’ora di andare a mangiare. Ma cosa? Meglio prenotare alla pizzeria del Sindaco, per non avere dubbi sulla qualità degli ingredienti.
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