Quando nel 1637 venne rappresentato per la prima volta “Le Cid” di Corneille, Rodrigo Diaz de Vivar incarnava ancora i valori cavallereschi: tra questi mantenere fede ai propri impegni e obbedire alle regole dell’onore e dell’onestà. Infatti di fronte alla scelta di difendere la dignità di suo padre o l’amore per Chimena, non vacilla e per questo la donna lo stimerà: “ per quanto cocente erompa il mio dolore non posso farti accusa: piango la mia sventura. So quello che l’onore, dopo una tale offesa, richiedeva all’ardore di un cuore generoso: hai compiuto il dovere proprio di un uomo onesto”.
Il personaggio di Corneille merita fiducia e la ottiene.
La fiducia sembra invece ormai un sentimento sorpassato. Michela Marzano, docente di Filosofia morale presso l'università Paris Descartes, nel suo nuovo libro “Avere fiducia” affronta il tema ritenendolo al tempo stesso “fondamentale e pericoloso”.
È “fondamentale” perché senza è impossibile immaginare “l’esistenza stessa delle relazioni umane”: dai rapporti di lavoro, all’amicizia, all’amore. Tuttavia è anche “pericolosa”, infatti ”comporta sempre il rischio che il depositario della nostra fiducia non sia all’altezza delle nostre aspettative o, peggio ancora, che tradisca deliberatamente la fiducia che riponiamo in lui”.
Per questo la fiducia “è una scommessa umana”: la riuscita o il fallimento dipendono dalla fragilità e complessità dell’uomo. Inoltre la fiducia è simile a un dono: non si merita e non obbliga chi la riceve a ricambiarla; la sua logica è “asimmetrica, cioè non si può esigere che sia onorata”.
Uscire dalla paralisi che provoca il desiderio di avere tutto sotto controllo è possibile soltanto imparando a fidarci, a scommettere, a uscire dalla logica che vincola ogni relazione a un risultato. Dalla fiducia negli altri si apre il futuro, mentre la diffidenza lo chiude.
Essa ci permette di uscire dall’individualismo sfrenato, dalla cultura della competizione a favore della cooperazione, consapevoli che c’è il rischio del tradimento e del voltafaccia, ma che merita un tentativo. L’alternativa è una “solitudine sterile”.
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