Il nuovo libro di Nunzia Penelope “Ricchi e poveri” è un’inchiesta sulle disuguaglianze in Italia. Infatti c’è chi con un reddito di mille euro mensili rientra nella soglia di povertà e chi invece può spendere diecimila euro al giorno. Situazione paradossale che rende il nostro un “Paese ricco abitato da poveri”.
La ricchezza privata degli italiani è di 8.640 miliardi di euro, distribuita tra denaro contante, titoli, azioni e patrimonio immobiliare; il debito pubblico invece ad agosto 2012 era di 1.972 miliardi, cioè quattro volte di meno (oggi è salito a 2.022 miliardi). Il debito è di tutti, la ricchezza invece è di pochi.
Tra i dieci uomini più ricchi in Italia, rigorosamente in ordine di classifica: la famiglia Ferrero (patrimonio di 19 miliardi di dollari); Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica (11 miliardi); Giorgio Armani (7,2 miliardi); Miuccia Prada (6,8 miliardi); Paolo e Gianfelice Rocca, proprietari del gruppo Technit (6 miliardi); Silvio Berlusconi (5,9 miliardi); Patrizio Bertelli, marito di Miuccia Prada (3,7 miliardi); Stefano Pessina, proprietario di Alliance Unichem (2,6 miliardi); famiglia Benetton, i cui quattro componenti possiedono 2 miliardi ognuno; al decimo posto figura Mario Moretti Polegato, ideatore del marchio Geox (1,8 miliardi). La ricchezza di queste persone corrisponde a una manovra economica molto rilevante. “Da soli possiedono quanto tre milioni di loro concittadini di modesta condizione”.
Un altro dato interessante è che i più ricchi corrispondono anche ai più vecchi: “la metà delle persone nate tra il 1948 e il 1955 appartiene al terzo più ricco del paese, mentre il 90% dei nati tra il 1975 e il 1980 è confinato nella parte più povera”.
Nel luglio 2012 Mario Monti sul Corriere della Sera definiva i trenta-quarantenni “la nostra generazione perduta”, ormai irrecuperabile. Inoltre in Italia vive più agiatamente chi è single o senza figli. Questo è uno dei motivi per cui il tasso di natalità è così basso.
Per rilanciare l’economia alcuni Paesi si basano sulle teorie di Keynes: supportare economicamente i poveri affinché questi possano trainare lo sviluppo.
È la ricetta attuata da Lula in Brasile: egli ha dato a 25 milioni di cittadini un salario minimo che, speso, ha rimesso in moto l’economia e ha diminuito il tasso di disoccupazione al 6,7% (l’Italia è al 10). Per l’Economist questa è “la redistribuzione della speranza”.
In Italia invece ci si è basati sulla regola del rigore: tagli alla spesa pubblica; riforma delle pensioni; modifiche sulle norme dei licenziamenti individuali; riforma della contrattazione. E i risultati non sono stati affatto positivi. D’altronde il premio Nobel Krugman, sul New York Times nel novembre 2011, parlando della manovra di Monti, scrisse: “La maggiore austerità non convincerà i mercati che l’Italia sta bene. Anzi, l’austerità è un autogol, perché danneggerà l’economia italiana più di quanto la aiuti a migliorare la sua immagine nel breve periodo”. Forse Monti aveva in mente la felice battuta di Ettore Petrolini “I soldi bisogna prenderli ai poveri: hanno poco, ma sono tanti”.
Inoltre in Italia “l’illegalità economica è uno degli elementi che più determinano benessere e miseria; la crescita zero del Paese deriva in gran parte da qui, così come la diseguale ripartizione delle risorse economiche e l’ingiustizia sociale che ne consegue”. Occorrerebbe una operazione di trasparenza per capire la reale ricchezza e povertà del Paese, infatti la ricchezza sommersa ammonta, secondo uno studio dell’Eurispes (dell’agosto 2012), a 500 miliardi di euro annui.
Questo è il Paese dove un terzo delle auto di lusso è di proprietà di persone con un reddito di 20 mila euro l’anno. Addirittura ci sono 518 elicotteri appartenenti a non abbienti.
Questo è il Paese dove molti rinunciano ad avere figli per problemi economici.
Questo è il Paese dove ci sono top manager con una retribuzione lorda di 456.000 euro mensili.
Questo è il Paese dove diventa impossibile permettere ai propri figli di studiare all’università. L’ascensore sociale si muove in senso contrario.
Questo è il Paese in cui lo stipendio di Tronchetti Provera ammonta a 61 mila euro al giorno: in un solo mese guadagna come un operaio in ottant’anni di lavoro.
Questo è il Paese in cui decine di lavoratori e imprenditori si uccidono quotidianamente per problemi economici, nonostante sia scritto che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (Costituzione Italiana, art. 36). L’Italia ha forse evitato il default del sistema, ma non quello morale.
Se la forbice delle disparità patrimoniali dovesse continuare ad allargarsi, il rischio che le tensioni sociali sfocino in una rivolta dagli esiti imprevedibili è pericolosamente alto.
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