Il romanzo “Oblomov” di Goncarov, pubblicato nel 1859, è senz’altro uno dei capolavori della letteratura russa ottocentesca. Oblomov, protagonista del romanzo, deve essere collocato tra i più riusciti personaggi della letteratura di tutti i tempi. In lui l’autore volle rappresentare un carattere universale dell’anima umana.
Il romanzo anticipa la modernità, infatti la trama è ridotta all’essenziale, come poi avverrà in tanta prosa novecentesca. Il nome del protagonista è però assai evocativo: “oblom” in russo significa “essere spezzati”, “aver fallito”.
Quindi Oblomov è “colui che ha fallito” per infingardaggine, apatia, stanchezza mentale, vizi che tiranneggiano l’uomo che non ha più un progetto concreto nella vita.
Egli è anzi indifferente alla vita e non si ribella neppure, né si rassegna, ma arriva ad annullare completamente ogni pulsione.
“Eppure non è triste, non è lamentoso, ha per se stesso una sorta di pietà vergognosa, infantile; ma intorno a lui, chi lo ha caro è colto da disperazione, e vuole, vorrebbe, fantastica di “salvarlo”.
Salvarlo da che?” (Giorgio Manganelli). Egli non è neppure in pericolo di vita, perché ha perso ogni slancio vitale, per questo l’ipotesi del suicidio non rientra tra i suoi pensieri.
Ma a Oblomov non mancano le doti morali e intellettuali. Anzi, è un gentiluomo. L’indolenza, però, gli impedisce ogni possibilità di qualificarsi nella vita reale, pertanto egli può essere giudicato per antitesi al suo contrario: l’uomo dinamico, operoso, tenace, che nel romanzo corrisponde al personaggio di Stolz (parola che in tedesco significa “orgoglio”), agente assicurativo e miglior amico del protagonista. “[Stolz] non faceva movimenti superflui. Se era seduto, sedeva immobile; se era attivo, usava solo i gesti necessari. […] Sembrava che controllasse le sue gioie e i suoi dispiaceri come controllava i movimenti delle mani e dei piedi”.
Oblomov e Stolz rappresentano due poli opposti. “Lo spettro di Oblomov è un virus nella macchina-Stolz” (V. Mazin).
La storia che li avvicina e poi li contrappone è semplice e assai lineare. Oblomov è un proprietario di provincia, che vive nella completa apatia. Il suo amico Stolz, per ridestarlo e rianimarlo da quella “strana e complessa malattia che gli impedisce di volere”, che lui chiama tautologicamente “oblomovismo”, gli presenta la giovane Olga.
I due si innamorano e provano un sentimento puro ed elevato. Allora l’allegria e la forza vitale penetrano nella vita di Oblomov, e lui si scopre diverso, “incipit vita nova” (Dante Alighieri).
Tuttavia a questo amore Oblomov non sa dare un contenuto reale e “presto ripiombò nella sua apatia. […] La sua “tenerezza di colomba” non riuscì a sopportare l’amore, che lo abbandonò inerte, come se non lo avesse mai visitato” (Pietro Citati).
Allora Olga sposerà Stolz e Oblomov, dopo il tracollo economico, sposerà la sua padrona di casa, grossolana, rozza, ma affidabile e devota. Alla morte del protagonista, sarà Stolz ad occuparsi di suo figlio.
Il fulcro del romanzo è rappresentato dal capitolo intitolato “Il sogno”.
Oblomov desidera Oblomovka, una sorta di Valle dell’Eden o Arcadia pastorale. Qui “Goncarov propone un idillio accidioso radicalmente antiromantico: un desiderio che è un ricordo, un sogno di antisognatore, dove risuonano non i suoni sublimi degli usignoli, ma quelli goffi delle quaglie” (S. Benvenuto).
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Commenti
Sono uno psichiatra e "Oblomov" è, per varie ragioni, il mio libro preferito. Grazie, Cristina.