Una calda sera di luglio, il Lungotevere in festa. L’isola Tiberina piena di bancarelle e di luci. Su un’isola è nata la mia “vita”.
Dare la vita è un miracolo assoluto. È l’energia del cosmo che si sintetizza in un momento, è la storia che si fa attimo.
Dare la vita è credere nel futuro del mondo, è lasciare una traccia, che la morte non cancella, perché si perpetua.
Quando nel cuore sboccia l’idea di avere un figlio, sentiamo che siamo pronte a morire, perché in lui rivivremo. In lui si ritroverà il nostro stesso taglio degli occhi, la stessa fossetta sul mento, lo stesso gruppo sanguigno, lo stesso modo di irritarsi all’improvviso.
Le mamme sono tali anche quando sono imperfette. Anche quando piangono in silenzio, vergognandosene, perché non ce la fanno. Anche quando sentono tutto il peso e la responsabilità di una dipendenza.
La giornalista Concita De Gregorio, nel libro “Una madre lo sa. Tutte le ombre dell’amore perfetto”, racconta le storie di tante madri, tutte diverse l’una dall’altra. Il sottotitolo è illuminante, perché anche l’amore assoluto, quello che non ha fine, vive di chiaroscuri. Ci vuole coraggio per leggere questo libro, perché mette a nudo la fragilità femminile, che a volte può essere esasperata da una gravidanza.
“Cosa sia una “buona madre” lo decidono gli altri. Il coro. Lo sguardo che approva e che rimprovera. Quelli che sanno sempre cosa si fa e cosa no. Cosa è giusto, saggio, utile. Quelli che dicono “è la natura, è così”: devi avere pazienza, assecondare i ritmi, provare tenerezza, dedicarti. Se ti senti affondare è perché sei inadeguata. Se soffochi è perché non hai gli strumenti della maturità”.
È facile cantare l’armonia della maternità, più difficile è dire che a volte questo strumento stona; allora bisogna riaccordarlo: “come quando il suono è disturbato, quel disagio lì: come quando la ricezione è deformata e non c’è corrispondenza tra il tuo ascolto e le voci intorno”.
Le nostre nonne non avevano tempo di seguire le proprie inclinazioni e il proprio talento. C’era la casa, il marito, i figli che nascevano quando queste donne erano giovanissime “non erano state educate ad anteporre la propria indipendenza culturale ed economica al resto”.
Le nostre mamme si sono emancipate e “ci hanno insegnato con l’esempio che quel sacrificio lì, quello delle nonne, non si faceva più: avevano combattuto per noi la battaglia dell’uguaglianza”.
Poi siamo state noi a maturare il desiderio di essere madri: “Vorrei essere la madre dei tuoi figli. Dei miei. Vorrei essere madre. Vorrei essere, e basta. Esserci forte, pianissimo, alla luce e di nascosto. Andare avanti senza perdere nulla di quello che c’è dietro”.
Tra le tante storie raccontate dall’autrice ce ne sono alcune molto tristi, altre allegre e curiose.
Mercè Anglada è un’ostetrica che ha fatto nascere più di diecimila bambini e racconta con emozione ogni nascita. Un dettaglio che l’ha sempre colpita è che dopo un parto “nessuno chiede mai subito come sta la madre. Nessuno tranne la madre della madre, che sempre –sempre- chiede per prima cosa come sta sua figlia”.
Ci sono poi le narrazioni più cupe, quelle tragiche, come il racconto della depressione post-partum, quel buio assoluto che spinge a ripudiare il proprio nato. Di ciò si parla ancora poco, per paura e per pudore.
La scrittrice, da madre, è onesta quando afferma che i figli non sono tutti uguali nel cuore dei genitori. “Non è vero che i figli sono tutti uguali, è una menzogna perpetuata dalla secolare litania della “gente perbene”, una bugia che ogni genitore conosce, che reprime e occulta insieme al senso di colpa di saperla. I figli sono diversi, ciascuno di loro lo è. Ci sono figli che alleggeriscono la vita, figli che la appesantiscono”. Ma restano figli per sempre.
Le donne sono un po’ così: “Sanno tenere insieme l’orrore e la felicità, il candore e la perversione, sanno parlare coi morti, sanno farsi carico dei delitti altrui e compierne intanto di propri, sanno crescere i figli nati dalla violenza, sanno portare il peso di un errore, sanno dare un posto a quello che altrimenti posto non avrebbe e sanno trovarci dentro la bellezza, sempre. Anche dove non penseresti di trovarla mai”.
Così sono le donne. Così è la vita. Contraddittoria e affascinante.
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