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Il Libro...Il Bastone dei Miracoli

di Maria Cristina Marroni
6 minuti

Salvatore Niffoi è uno dei motivi per cui è impossibile non amare l’Italia. È riuscito, come forse nessuno, a tessere la prosa con i fili d’oro della lingua sarda, restituendo immagini talmente carnali da innamorare.
Il suo idioma innalza le espressioni dialettali svelandone la ricchezza di significati che le ha conservate, una ricchezza che l’italiano non è in grado di riprodurre se non al prezzo della perdita dei colori, dei suoni, degli odori e delle sfumature.

Quando ho letto che il nuovo sindaco di New York ha chiamato i propri figli Dante e Chiara in ossequio a Dante Alighieri e a una passione per il medioevo, mi è tornato in mente il vecchio Licurgo Caminera, il protagonista del romanzo “Il Bastone dei Miracoli” di Niffoi.
Licurgo è un contadino della Barbagia, umile ma colto, che ha cento anni e che sul letto di morte decide di lasciare la propria eredità ai sei figli superstiti dei dodici che ha avuto. I figli portano tutti nomi presi dalla mitologia greca: Ulisse, Achille, Ercole, Penelope, Elena e Antigone.

L’eredità è immateriale e non comprende beni o possedimenti, bensì un romanzo formato da sei capitoli chiusi in altrettante buste, ciascuna consegnata ad ogni figlio affinché dopo la morte del padre possano riunirsi tutti e leggere le sei parti, così da ricomporre l’intera storia narrata.
Licurgo, sottolineando “l’importanza di tenervi sempre uniti”, si congeda con queste parole: “L’uomo, se non legge e scrive, non è uomo, è un caprone che lascia dietro di sé solo laddara e piscio. Non c’è vita buona senza lettura, non c’è morte buona senza scrittura. Ah, un ultimo desiderio! Se non vi dispiace privarvene, vorrei portarmi appresso i quarantotto canti dell’Iliade e dell’Odissea, “Mentre morivo” di Faulkner, qualche risma di carta e una provvista di penne”.

Le figlie supplicano l’anziano padre di consentire che venga un medico o almeno un prete, ma il vecchio le gela: “né l’uno né l’altro. Per dove devo andare si va da soli, non c’è bisogno di loro. Voglio morire senza peccato come sono nato, senza dottori e senza preti”.
Le figlie lo incalzano: “E se Dio esiste davvero? Se ci sono l’inferno e il paradiso?”. Licurgo ride beffardo: “se esiste, gli domanderò conto di alcune cose che non gli sono riuscite proprio bene, compreso l’inferno certo in terra e il paradiso nell’improbabile aldilà. E poi gli chiederò pure perché ha fatto cieco uno come Omero, con tutti i ciechi vedenti che ha sempre creato. (…) I conti con la propria coscienza e con l’aldilà, ognuno li fa a modo suo, senza dimenticare ciò che ha fatto su questa terra. Le preghiere, le croci e l’incenso nulla aggiungono e nulla tolgono a quello che siamo stati. (…) In questa vita ogni uomo sceglie la propria strada e costruisce la propria fine giorno dopo giorno”.

Niffoi scolpisce le parole per fissarle immutabilmente, grazie ad una capacità evocativa figlia di una terra selvaggia e abbagliante, riuscendo a comporre un romanzo che ha l’ambizione di “far fruttare il dolore e trasformarlo in speranza”.
Al suo interno le storie di uomini e donne si intrecciano a delineare il quadro di eventi ineluttabili, così come di vicissitudini che recano nel loro particolare l’universalità della condizione umana, ovunque preda dei medesimi vizi.

Struggenti i dialoghi fra una figlia innamorata e la propria madre: “Quando lo incontro iniziano a diventarmi le gambe morbide come il muschio e mi sento il ventre pieno di biglie che rotolano: budubùm, budubùm, budubùm bùm bùm. Cosa sarà mà?”. La madre risponde: “E cosa vuoi che sia, figlia bella: amore. Solo l’amore ci fa ammacchiare di gioia a noi femmine, tutte le altre cose ci fanno solo soffrire!”.

Ma sarà la stessa madre a convincere la figlia della necessità di un matrimonio di interesse, con parole tagliate con l’accetta e dure come martellate: “il piacere che danno gli uomini a letto non è questa gran cosa, credi a me. All’inizio sembra così, tutto fuoco e pepe; poi diventa cenere. Quando non ne avrai voglia farai finta, come da sempre fanno tutte le donne, ti ci abituerai anche tu. Farai figli e penserai più a loro che a tuo marito. Se poi ti capita qualche occasione certa con un maschio che ti trasforma il sangue in benzina, non dirlo a nessuno, accenditi e balla. Balla, figlia mì, che di tristura e migragna è stanca la nostra terra! mi senti? Prenditi un po’ di tempo e rifletti su quanto ti ho detto, che non c’è peggior cosa della fretta quando si entra in acqua senza saper nuotare”.

Nel romanzo le tensioni sono polarizzate, le contrapposizioni estreme, il destino è soverchiante e l’ambiente barbaricino atavico e indifferente alla miseria delle umane vicende.
Il bastone dei miracoli, che dà il titolo alla storia, concederebbe la facoltà di conquistare potere e ricchezze a chi lo detiene, e proprio i beni e le ricchezze attraversano e funestano le esistenze dei personaggi, alimentando gli istinti più inconfessabili e incontrollabili.

Ma quando il baratro si spalanca dinanzi, la sola salvezza apparedistruggere ogni proprietà, fino a toccare il fondo. Solo senza le proprietà materiali si può essere veramente padroni di sé stessi e costruire il vero, il nuovo rinascimento dell’uomo”.



 

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Commenti

Dalla recensione domenicale,sempre brillante e completa,si evince una sorta di distillato di saggezza di vita e di conoscenza,per rendere meno difficile la convivenza con gli altri e l'orientamento nel mondo. Grazie e buona domenica.
Semplicemente meraviglioso.
NON AMO LE LETTURE SARDE perchè............................................................................ ancora oggi non riescono ad uscire dai vecchi clichè di pastori, servi pastori con le pecore a fianco, banditi, sequestratori. anche l'opera di salvatore niffai , autore che fatica a perdonare, non la comprendo perchè " non mi arriva" . storie noir, terribili che appartengono solo ai sardi ; non riesco a comprendere il loro mondo lontanissimo anche se è a due passi da noi. complicato ,forse perchè i sardi per andare da qualsiasi parte debbono.....traversare un mare! come quasi tutti i romanzi di niffai alle belle parole sensuali che diventano odore e rumore si alternano pagine difficoltose , perchè scritte in sardo. tuttavia le bella recensione della brava prof. mi porta a riflettere sulla " scrittura " l'attività umana per eccellenza. solo alla fine della vita questa attività sembra acquistare vera importanza e gioia. tutti noi in realtà abbiamo la necessità ed il piacere, anche solo per i nostri occhi, di fissare certi ricordi , certe sensazioni, per lasciare una qualche memoria si sè: il potere di perpetuare! è questo , forse, ciò che proviamo, una volta raggiunta una certa età. voglia di non smemorarsi in un paese che vive alla giornata, anzi ...all'istante. ricordarsi di qualcuno e di qualche cosa è un lusso oggigiorno......buona domenica , che ottobrata , che domenica splendita....finora!
Niffoi è un autore per spiriti raffinati. Anche "La vedova scalza" e il "Pane di Abele" sono due libri eccezionali. Nel panorama contemporaneo è uno degli autori più interessanti, sebbene la contaminazione del linguaggio con il dialetto sardo renda ardua la lettura.