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ll riordino delle Province secondo la “spending review”

di Enzo Di Salvatore
4 minuti

Il decreto-legge del Governo sulla “spending review” – convertito ora in legge dal Parlamento – disciplina, tra le altre cose, il riordino delle Province italiane. L’art. 17 del decreto, nella versione modificata dalle Camere, stabilisce, infatti, che tutte le province delle Regioni a Statuto ordinario esistenti alla data di entrata in vigore del decreto siano oggetto di riordino sulla base di una procedura indicata dallo stesso articolo: il Consiglio dei ministri, con apposita deliberazione, determina i criteri per il riordino delle Province; entro settanta giorni dalla pubblicazione della deliberazione del Consiglio dei ministri (che risale al 20 luglio scorso), il Consiglio delle autonomie locali approva “una ipotesi di riordino” e “la invia alla regione”. Entro i venti giorni successivi, la Regione trasmette al Governo “una proposta di riordino” (e ciò anche qualora il Consiglio consultivo non abbia formulato la sua “ipotesi”). Entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della legge di conversione del decreto, “le Province sono riordinate” con legge, sulla base delle proposte regionali. Se la Regione non avrà formulato alcuna proposta, sarà la legge del Parlamento a decidere tutto, sulla base di un parere della Conferenza unificata.
Ricapitolando: gli Enti locali “ipotizzano”; le Regioni “propongono”; lo Stato “(ri)ordina”.
Ora, a mio parere, questa disciplina è del tutto discutibile; non già dal punto di vista dell’obiettivo che si propone di conseguire, ma dal punto di vista della sua legittimità costituzionale: il fine non giustifica il mezzo. Almeno non nel diritto.
L’art. 133 della Costituzione stabilisce che “il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell’ambito di una Regione sono stabiliti con legge della Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione”. Su “iniziative” dei Comuni, si badi, non su loro “ipotesi”. Questo vuol dire che il procedimento di riordino delle Province non può essere calato dall’alto, ma deve muovere necessariamente dal basso: la Regione è “sentita” e la legge dello Stato è chiamata ad accogliere nel suo seno la modifica territoriale desiderata. Il Parlamento è qui autorizzato ad adottare solo una legge meramente “formale”. Se così non fosse, si finirebbe per ammettere che anche in altre ipotesi la legge dello Stato (ordinaria o costituzionale) possa essere “di sostanza”: come, ad esempio, nel caso della creazione di nuove Regioni o di fusione di Regioni esistenti (art. 132 Cos.) o nel caso di distacco di Province e di Comuni da una Regione ad un’altra. Per questa via si potrebbe essere tentati di sostenere persino che la legge dello Stato possa definire i contenuti dell’autonomia delle Regioni a Statuto speciale, visto che l’art. 116 stabilisce che “il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”.
È evidente, allora, che non è questo il “senso” della previsione costituzionale dell’art. 133: la ratio dello specifico procedimento ivi disciplinato si collega alla garanzia dell’autonomia locale, la quale non può essere vanificata da un intervento dello Stato centrale. E di questo hanno perfetta consapevolezza anche il Governo nazionale e i parlamentari che hanno convertito in legge il decreto sulla “spending review”, giacché essi tentano di aggirare l’“ostacolo” dell’art. 133 Cost. contemplando, in luogo del procedimento sancito dalla Costituzione, una (pseudo) partecipazione dei Comuni, per il tramite del Consiglio delle autonomie locali. Partecipazione, questa, che non è peraltro neppure garantita, visto che in assenza di qualsiasi “ipotesi” o “proposta” lo Stato farà comunque da solo; e, cioè, si sostituirà irrimediabilmente agli Enti locali e alla Regione nella decisione finale da assumere.

 

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Commenti

Quindi la legge di riordino delle province è incostituzionale. Perchè nessuno dalle autonomie locali solleva l'eccezione di incostituzionalità?
E fa bene a fare da solo, se no ci tocca l'Iva al 23% con i relativi strascichi in termini di inflazione. Benzina a due euro, ad esempio
E che dire dei requisiti di necessità e di urgenza che consentono al Governo di intervenire in materia legislativa visto che non si conoscono neppure in proiezione quali siano gli effetti del taglio. MA siamo sicuri che questi siano dei professori? Alcune Regioni, che io sappia, si stanno muovendo.
Povero Marco, ci hai creduto anche tu alle bugie di questo governo. Tutta la manovra sulle province non c'entra niente, ma proprio niente, con il non aumento dell'Iva di settembre. Questi sono più bugiardi dei nostri tanto deprecati politici, Poveri noi!
Caro Anonimo ammetto che la revisione delle provincie sia ingiusta. Devono eliminare tutte. Ammetto che rischiamo comunque l'aumento dell'Iva. Ma figurati se non facciamo nemmeno il poco che sti politicanti da strapazzo arrivano a decidere dove finiamo!? Ma forse tu sei per lo scenari tanto peggio tanto meglio? Comincio anche io ad avvicinarmi a questo scenario... Dove va un paese che fa pagare ad un professionista non ricco come me, con famiglia a carico integrale, senza nessuna tutela, il 68% di tasse ? Tanto peggio tanto meglio, forse. un nuovo Piazzale Loreto? forse solo questa è l'amara medicina che cura un pò questo maledetto Paese. saluti e buone vacanze se può permettersele m
Una cosa e' certa i Professori universitari in ferie ci andranno lo stesso. auhuahahu Vogliamo capire che bisogna tagliare la spesa pubblica? Le Province, Le Regioni, I Comuni, il Ruzzo, piu' tutti gli altri, non sara' l'aumento della pressione fiscale la soluzione!