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Le cave e la valutazione di impatto ambientale secondo la finanziaria della Regione Abruzzo

di Enzo Di Salvatore
5 minuti

Il Presidente di Confindustria Pescara, Enrico Marramiero, sostiene che la vita amministrativa della Regione Abruzzo necessiti di uno snellimento burocratico ed afferma che nella recente legge finanziaria vi sono due articoli che andrebbero nella direzione opposta: l’art. 29, sulle concessioni in materia di attività estrattiva e di escavazione, e l’art. 63, relativo alla disciplina delle misure di pubblicità dell’Autorità competente in materia di valutazione ambientale. Articoli, questi, che potrebbero essere ora cancellati dal Consiglio regionale, come avverte Maurizio Acerbo dalle colonne del quotidiano “Il Centro”, anche a seguito della spaccatura prodottasi in seno all’opinione pubblica abruzzese.
Gli operatori dell’edilizia” – dichiara Marramiero – “vogliono il piano cave, che anzi, andava fatto anni fa. Senza il piano, infatti, i tempi per ottenere un’autorizzazione sono in media di 22 mesi, una cosa indegna di un Paese civile. Ma per colmare i ritardi della politica non si può sospendere ogni attività estrattiva per un anno e mezzo. Un imprenditore deve avere regole certe e continuative nel tempo. Da luglio a oggi è cambiato il mondo; andiamo a una velocità pazzesca. I tempi della politica sono incompatibili con quelli dell’economia reale. Dobbiamo trovare il sistema per velocizzare tutto garantendo sempre democrazia e trasparenza”.
Come dargli torto. La legge n. 54 del 1983, che ha recato una disciplina generale per la coltivazione delle cave e torbiere, è rimasta finora lettera morta: l’approvazione del Piano regionale da parte della Giunta doveva darsi entro il termine di un anno dall’entrata in vigore della legge; e detto termine è stato inutilmente prorogato di anno in anno, fino al 31 dicembre 1989.
Eppure, il ragionamento svolto dal Presidente Marramiero non convince completamente. Anzitutto perché l’articolo 29 della legge finanziaria non sospende le attività estrattive per un anno e mezzo, ma sospende il rilascio delle concessioni per l’esercizio di nuove attività estrattive fino all’approvazione del Piano regionale. Il quale, non solo renderebbe un volto più civile al Paese – come pure auspica Marramiero –, ma farebbe sì che tutti, imprenditori compresi, possano disporre di regole più certe.
Quello che, però, più non convince del ragionamento di Marramiero è l’idea che “i tempi della politica” siano “incompatibili con quelli dell’economia reale” e che per questo occorrerebbe “trovare il sistema per velocizzare tutto garantendo sempre democrazia e trasparenza”. Esso non convince perché pretenderebbe di mettere assieme due verità, che non possono stare l’una accanto all’altra.
Può ben darsi che i tempi della politica siano incompatibili con quelli dell’economia reale.
Ma se così fosse, risulterebbe, allora, difficile velocizzare il sistema, garantendo, ad un tempo, che i processi decisionali continuino ad essere democratici. La disciplina sulla valutazione di impatto ambientale introdotta nella finanziaria ne è la prova lampante: essa aggraverà pure il procedimento e forse questo non sarà senza oneri per la Regione.
Ma quel che è certo è che essa renderà più democratico e trasparente il procedimento, prevedendo, ad esempio, che le convocazioni del Comitato di coordinamento regionale e gli ordini del giorno siano pubblicati sul sito web della Regione, che la Direzione regionale organizzi un sistema di newsletter digitale, che i verbali dei lavori del Comitato siano pubblicati online. Proprio perché chiunque abbia interesse al procedimento possa esprimere il proprio punto di vista.
Marramiero chiede che la Regione sburocratizzi “tutti i livelli della vita amministrativa”, in quanto ciò avrebbe “un impatto formidabile sulla vita delle imprese e dei cittadini”.
D’accordo. Ma lo snellimento del sistema amministrativo non può riguardare il piano dei diritti e degli interessi, perché, se così fosse, si avrebbe sì un impatto formidabile sulla vita dei cittadini e delle imprese, ma solo in senso negativo. Esso, dunque, non può concernere i beni primari, quali l’ambiente, il paesaggio o la salute. Ed è per questo che la Corte costituzionale, dopo aver ricordato che la disciplina statale sulla tutela dell’ambiente “viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza” (sentenze 104/2007; 378/2008), ha precisato che se le Regioni lo volessero potrebbero pur sempre adottare norme di tutela ambientale più restrittive: elevando, cioè, e mai riducendo lo standard di tutela fissato dallo Stato.


 

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