Salta al contenuto principale

Marcello Martelli risponde ad Antonio D'Amore

di I due Punti
4 minuti

Caro Falconi,
non ti conosco personalmente e me ne dispiace, ma apprezzo la tua vivacità di giovane cronista e la voglia che dimostri di buttare il sasso nello stagno. Posso dirtelo? Persevera. Vai avanti…Di persone così c’è gran bisogno. A dirlo è un vecchio cronista che, nonostante qualche delusione, ha sempre creduto nelle nuove leve. A cominciare da quel gran simpatico di Antonio D’Amore, al quale in altri tempi, come si è compiaciuto di ricordare, affidai l’incarico (dopo Antonio Risolo, nome noto del giornalismo nazionale) di redattore capo del quotidiano Le Notizie, diffuso nelle edicole in tandem con La Stampa di Torino. Vedo che ora Antonio, sempre un po’ discolo e imprevedibile, mi ricambia il grosso regalo ricevuto, inventando la storiella di quando, nella mia “ovattata” stanza di direttore, gli “insegnai come non essere un giornalista libero”, dettandogli l’elenco dei “9 potenti” (o 90?), da mettere al riparo dalla sua penna di fustigatore dei “prepotenti”. Fosse vero, il buon Antonio non farebbe un complimento a se stesso…Anzi, dimostrerebbe -non ti sembra?- la sua disponibilità ad accettare, senza battere ciglio, il bavaglio di cronista dimezzato. Altrimenti, nessuno avrebbe potuto privarlo della libertà di rifiutare l’incarico. Invece, con entusiasmo e soddisfazione, incassò senza esitare quella grossa opportunità professionale offertagli. Fatti suoi (per me tuttavia incomprensibili), se ora tenta da vero kamikaze di metterla in cattiva luce, quella esperienza, danneggiando la sua stessa immagine di giornalista. Che, invece, dovrebbe difendere in ogni momento. Specie quando, con un microfono in mano, in tv si trova davanti ad un potente e deve non dare l’impressione di essere, più che seduto, in ginocchio, mettendo a totale suo agio l’ospite speciale. Del resto, talune regolette tecniche e deontologiche, non sono state da me inventate. E, applicate o disattese, distinguono il buon giornalista dal suo contrario.
Bada, non sto salendo in cattedra né distribuisco pagelle. A quelle provvedono i telespettatori e i lettori che, senza andare per il sottile, sanno misurare valore e credibilità di ciascuno. Né serve gonfiare il petto, come pateticamente fanno certi falsi giornalisti.
In sostanza, questo era il succo del mio intervento, peraltro garbato e senza riferimenti personali, che vedo ora al centro dell’attenzione di molti (anche di “i due punti”). E non può che far piacere a un vecchio giornalista che spesso vede umiliata e vilipesa una professione, nonostante tutto, ancora da amare e difendere.
Del rapporto Stampa & Potere si dovrebbe parlare e discutere di più e meglio, con l’obiettivo di accertare se esistano i presupposti per relazioni più corrette e costruttive con il Palazzo. Nell’interesse di tutti. A cominciare da quei potenti che non possono più illudersi di incantare i “serpenti” (noi cittadini) con la complicità di una informazione servile e compiacente. Era ed è tutto qui, caro Falconi, la sostanza del problema. Ma posso darti un consiglio non richiesto? Visto che hai cominciato, cerca di continuare. Approfondisci il dibattito su un tema scottante, che viene solo a tratti fastidiosamente sfiorato. Affondiamo insieme il bisturi in profondità, per far emergere alcune verità che vanno dette e non più rinviabili. Se vuoi, si potrebbe discutere meglio anche di Pubblicità & Potere (il tema proposto dal consigliere regionale Berardo Rabbuffo), per far emergere la tendenza piuttosto miserella di come in loco, con la pratica della elemosina pubblicitaria, si premiano i buoni e si puniscono i cattivi, usando comunque soldi pubblici. Con i soliti noti che – dall’alto delle rispettive poltrone, prebende e ricchezze- sono essenzialmente interessati a far chiudere quelle pochissime flebili voci locali con il vezzo di non essere del tutto allineate. Parliamone. Per quanto possa contare, sono a disposizione. Con tanti auguri per il tuo lavoro e il tuo futuro.

Marcello Martelli

Commenta

CAPTCHA

Commenti

alla fine della canzone o della fiera: è necessario togliere i finanziamenti pubblici e fare il vero giornalismo senza dipendenza, magari soffrendo la fame. peppino massi.
Un signore,Marcello,un signore.Continuo ad apprezzarti come ha sempre fatto mio padre Mimì.
Rinnovo. E confermo: non accetto lezioni da Marcello Martelli. Specie quando cerca, col fare "democronistiano" di rigirare la frittata. Un tempo, quando c'era la Dc, si chiamavano democronisti quelli che cercavano di fare giornalismo con quel modo un po' pretaiolo - tipico di certi politici - di cercare, sorridendo, di farti accettare una verità diversa. Marcello nega, definendola inventata, la circostanza dell’incontro nella sua stanza per l'indicazione delle 9 persone delle quali avrebbe potuto scrivere solo lui. Anzi, col tocco “democronistiano”, cerca di farmi passare come quello che – se fosse accaduto – in quell’occasione avrebbe accettato “il bavaglio da cronista dimezzato”. Chiunque sia mai entrato in una redazione, sa benissimo che in un giornale esiste un “dominus” assoluto, che è il direttore. E’ quello che decide, che sceglie e che rischia anche penalmente. Sergio Zavoli, nel cercare una metafora che definisse il ruolo del direttore, per spiegarlo ai praticanti in vista dell’esame, disse: “il direttore in redazione è Dio”. Marcello Martelli, a Le Notizie, era il mio direttore, e se il mio direttore dice che nove personalità le intervista lui, le “segue” lui, ne scrive lui, non mi sento dimezzato né imbavagliato, anche perché il compito del caporedattore è “fare” il giornale, “cucinarlo” (come si dice in gergo) tutti i giorni, non usare la sua penna per “fustigare i potenti”, perché quello è il compito che spetta ai direttori, se ne hanno i mezzi, i modi, il coraggio, la libertà e le palle. Marcello nega quell’incontro, io lo ricordo perfettamente, forse anche per un vantaggio anagrafico, al punto da ricordare anche quali fossero le nove persone: 1) Remo Gaspari 2) Rocco Salini 3) Corradino Di Stefano 4) Antonio Tancredi 5) Alberto Aiardi 6) Giandomenico Di Sante 7) Lino Nisii 8) Il provveditore agli studi 9) Aristide Romano Malavolta Mi infastidisce un po’, ma solo un po’, il tono di chi ha voluto definire “un regalo” fatto ad un “gran simpatico” quello che era un normalissimo incarico professionale, e fossi in Marcello userei una certa accortezza nell’usare il termine “incassò” riferito a quell’esperienza, perché in quanto ad incassi… venni pagato solo al 60% della somma pattuita e in assegni postdatati…ma questa è un’altra storia. Non risponderò al secondo tentativo “democronistiano” di dar lezioni sull’intervista televisiva, perché io – sempre grazie all’anagrafe – ricordo ancora le conduzioni televisive di Martelli, la trasmissione si chiamava “Parliamone Insieme” ed era così vivace che tra i tecnici della tv c’era chi l’aveva ribattezzata “Addormentiamoci insieme”. E, per quanti sforzi faccia, non riesco a ricordare un’intervista aggressiva di Martelli, né un suo articolo “feroce”… prima di andare in pensione. Dopo, qualche spunto polemico mi è sembrato di coglierlo, ma mi sono sembrati sempre e solo il lamento stanco di chi, annoiato dal tempo libero che la terza età concede, dalla panchina dei giardinetti maledice il Governo….che pure ha votato. Parliamone, di stampa e potere. Ma senza ipocrisie. E senza verità di facciata. Perché è fin troppo facile fare i moralisti in pubblico e poi, nell’intimità familiare, magari chiedere ad un ministro di far da padrino al battesimo dei figli... Antonio D’Amore
Navigo e mi imbatto solo solo oggi in quanto scrive D'Amore. Ho lavorato anch'io a "le Notizie", all'epoca di Risolo, conosco tutti i personaggi in questione e non ho alcuna difficoltà a credere che le cose siano andate come le racconta D'Amore (che saluto) . Aria pesante in quella redazione, i potenti volteggiavano sui desk non solo con il loro nome, ho per esempio vissuto l'esaltante esperienza di scrivere un articolo su un "pezzo grosso" avendo dietro le spalle il diretto interessato, ovviamente scortato dal valente direttore. All'inizio eravamo tutti felicissimi di entrare, seppur dalla porta laterale, nel gran giro del giornalismo italiano: all'apertura de "Le Notizie", che si vendeva in abbinamento a "La Stampa", arrivarono da Torino Gad Lerner e Luigi La Spina. La realtà quotidiana della provincia teramana, i mille vincoli amicali in cui ci trovammo avviluppati ci aprirono ben presto gli occhi. Per me finì dopo meno di un anno. Come tutte le esperienze, comunque, mi ha arricchito anche quella: soldi anch'io ne ho lasciati parecchi ma non fa nulla. Ho conosciuto tanti bravi ragazzi, non tutti hanno proseguito nel campo dell'informazione, con alcuni sono rimasto in contatto. Come spesso accade, i ricordi brutti sbiadiscono, quelli belli rimangono nitidi a distanza di tanti anni. Va bene così.