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Il Mistero del lampadario del Teatro Comunale di Teramo

13 minuti

Poco meno di un secolo. Questo è stato il breve periodo di vita del nostro vecchio Teatro Comunale. Giusto il tempo di un soffio, a guardar bene, ma tanto è bastato perché quel pregevole edificio in Corso San Giorgio entrasse nel cuore dei teramani. Di quelli che in quei locali l’arte l’hanno amata e vissuta, di quelli che lì hanno trascorso pomeriggi e serate nei tempi meno allegri del dopoguerra, quando era in piena attività la selvaggia avanzata del cinematografo sul palcoscenico, di quelli che distrattamente hanno assistito alla demolizione dell’edificio e di quelli che oggi piangono per una perdita tanto amara. C’é da essere sinceri. Guardando le vecchie immagini, in effetti, il nostro Teatro non brillava certamente per facciate ed esterni sfarzosi. Niente monumentalità esteriore, per un edificio inaugurato nel 1868 e progettato dall’architetto Nicola Mezucelli, teramano illustre appartenente ad un’antica famiglia presente e attiva in Città per quattro secoli, dal ‘500 al 1923, anno in cui si estinse per mancanza di eredi. Nicola Mezucelli, padre del Teatro Comunale, ebbe anche altri numerosi incarichi, fra i quali è bene ricordare quello di Priore della Confraternita dell’Annunziata, avente sede nell’omonima chiesa della SS. Annunziata. Chiesa della quale, per via dell’ironia della sorte o per certi strani eventi della vita, si dirà in seguito.
 
Dell’assenza di monumentalità esteriore del Teatro, si diceva. Da contraltare a questa semplicità delle linee architettoniche esterne, tuttavia, facevano gli interni della struttura. Una sala graziosamente decorata, dotata di un’acustica eccezionale, di un sipario meraviglioso e dei più moderni sistemi tecnologici. Una Sala della Cetra, nata dalla successiva trasformazione dell’appartamento del custode, avente la funzione di Ridotto del Teatro. Una quantità di scale, corridoi, camerini, locali di servizio e disimpegni che permettevano di gestire al meglio l’intero Non è rimasto più nulla di questo gioiello dell’architettura e dell’arte della nostra Città. La demolizione del 1959 ne ha cancellato ogni traccia. Con i picconi dell’epoca sparirono i palchi, sparì quella che lo stesso progettista Mezucelli, nelle sue carte, definì la «macchina comunemente detta tiratutto, per menare avanti e dietro tutte le quinte in un medesimo tempo», sparì il sofisticato congegno che permetteva di mettere in scena i tuoni, attraverso «una cassa piena di pezzi di legname con una ruota dentata», oppure la pioggia, attraverso «una ruota di latta con piede di legno», oppure uno «scoppio della saetta», attraverso «sottili tavole di noce, piastrine di ferro e cordame». Sparirono i «24 lumi di latta con riverbero per la bocca d’opera», sparirono i «22 lucigni di latta verniciata per i corridoi e i ripiani delle scale», sparirono le «160 sedie di legno per la platea, con braccioli disposti circolarmente». Sparirono i «leggii, i sottopiedi e le 30 sedie ordinarie per i musici», così come le «dipinture della scena della campagna, colle quinte, e cieli corrispondenti». Nulla di tutto questo è rimasto. O quasi.
 
Chiunque, guardando una vecchia immagine della sala del nostro Teatro, sarà stato colpito dalla bellezza del lampadario centrale situato sulla volta. Un lampadario splendido, disegnato da Carlo Ferrario, scenografo della Scala di Milano, e realizzato sempre a Milano dalla ditta Antonio Pandiani, con struttura in ferro dorato e «guarnito di cristalli», dotato di sculture femminili sui quattro lati e sorretto da «cordame con relativa ruota da tiro». Il costo di questo lampadario di straordinaria bellezza fu elevatissimo: si aggirò intorno alle 5000 lire dell’epoca. Nel progetto del Mezucelli fu altresì previsto l’acquisto di una «scorta del lampadario», in caso di danneggiamenti accidentali di questo.
 
Sino ad oggi, stante la mancanza di notizie certe sull’argomento, tutti sappiamo di aver perso per sempre, con i picconi del 1959, ogni traccia del nostro Teatro Comunale. Compreso il lampadario. Eppure, nonostante tutto, il mistero sulle reali sorti che ebbe questo bel lampadario è assai fitto. Le voci, al riguardo, sono le più disparate. C’é chi sostiene che l’opera fu distrutta assieme all’edificio. Altri ritengono che fu smarrita. Altri ancora dichiarano che fu smembrata e successivamente venduta a parti separate. Il mistero, in buona sostanza, perdura da decenni e tuttora pare non essersi risolto.
Come ben sa chi si è cimentato in questo genere di ricerche storiche, il condizionale è sempre d’obbligo e a tal riguardo è necessario iniziare il ragionamento analizzando i pochi punti fermi che esistono su questa travagliata vicenda.
Nell’immediato secondo dopoguerra, come si sa, la vita del nostro Teatro non fu facile. L’attività artistica si ridusse considerevolmente e l’ultima stagione lirica di cui abbiamo certezza fu quella del 1954. A seguito di questa, la sala dell’edificio del Mezucelli fu trasformata e adattata a sede cinematografica. I lavori investirono strutture, impianti e arredi. E probabilmente anche il lampadario, in quell’occasione o successivamente, fu smontato dalla volta nella quale era stato da sempre alloggiato. Alcune vecchie fotografie di quello che ormai era divenuto il Cineteatro ritraggono la sala di proiezione priva del lampadario centrale. Ma nessun documento, al riguardo, sgombra il campo dai dubbi. Quel che è certo è che dal 1954 al 1959, anno della demolizione, il Teatro funzionò quasi solo come sede cinematografica.
 
Un altro dato certo ci è fornito dalle vecchie carte d’archivio. Siamo nel 1960, un anno dopo la fine dei lavori di demolizione dell’edificio. Il lampadario, nel 1954 o nel 1959 (come detto in precedenza, non si conosce la data esatta), fu smontato dalla volta e fu evidentemente custodito in deposito. La Cattedrale di Teramo, a differenza di oggi, non aveva nel suo seno una Parrocchia. La sede parrocchiale era sita nella vicina chiesa di Sant’Agostino, che rivestiva così il ruolo di Vicarìa Curata della Cattedrale, guidata da don Giovanni Iobbi. Il giorno 11 gennaio 1960, la Vicarìa Curata trasmise una nota al Comune di Teramo con la quale chiese di poter disporre del lampadario del vecchio Teatro, demolito l’anno precedente, al fine di adornare la chiesa del Cuore Immacolato di Maria, del quale lo stesso don Giovanni Iobbi diverrà poi il primo Parroco, all’epoca in piena costruzione a Piazza Garibaldi. La Giunta Comunale, su iniziativa dell’Assessore Anna Sciarra e con voto favorevole degli altri componenti (Carino Gambacorta, Giuseppe Gadaleta, Francesco Martelli, Giovanni Melchiorre, Giovanni Adamoli), approvò la deliberazione n. 80/30 il giorno 9 febbraio 1960 e cedette alla Vicarìa Curata della Cattedrale «il lampadario di che trattasi». Da questo momento, il lampadario entrò nella disponibilità della Chiesa Aprutina. Ma nella Parrocchia a Piazza Garibaldi quell’opera non arriverà mai.
 
Ulteriore elemento da aggiungere a questa già intricata vicenda, è la recentissima scoperta di un lampadario assai simile a quello in argomento. Lampadario che ancora oggi è presente a Teramo, nella chiesa della SS. Annunziata in Via Nicola Palma. Gli archivi nulla forniscono, al riguardo, in relazione a questa strana installazione. La stessa rettoria della SS. Annunziata, chiesa peraltro rimaneggiata ampiamente proprio negli anni ’60 quando assunse l’aspetto attuale, non possiede documenti specifici sull’argomento. Ragion per cui, in mancanza di carte storiche, suppliscono soltanto le testimonianze dirette degli anziani e il riscontro fotografico. Riscontro che sarà in grado di sorprendere chiunque, data l’incredibile somiglianza del lampadario oggi presente nella chiesa della SS. Annunziata con quello all’epoca installato nel Al centro della cupola principale nell’aula, la bellezza di questo lampadario è notevole, nonostante la palese vetustà, le pur normali corrosioni del tempo e la polvere. Tuttora l’impianto è in funzione ed è molto bello ammirarlo illuminato.
L’attuale Rettore della chiesa, don Arturo Mazza, ha dichiarato di essersi insediato nella SS. Annunziata nel 1954, anno in cui vennero avviati i lavori che trasformarono ed adattarono il Teatro a sede cinematografica (e probabilmente, ma solo in via ipotetica, il lampadario fu smontato in quell’occasione). All’atto del suo insediamento, il Rettore trovò il lampadario della chiesa nell’esatta posizione che ancora oggi vediamo. Quest’opera di notevole somiglianza con quella presente nell’edificio del Mezucelli, dunque, era già lì dal 1954. Come potrebbe quindi spiegarsi questa singolare circostanza?
 
Se si ipotizzasse che il lampadario del Teatro, dopo essere stato smontato nel 1954, sia stato trasferito per qualche recondita ragione nella chiesa della SS. Annunziata, non troverebbe spiegazione la delibera municipale con la quale, ben sei anni dopo, il manufatto (ancora nella disponibilità del Comune) fu concesso alla Vicarìa Curata della Cattedrale. Così come, se si ipotizzasse che il lampadario del Teatro, dopo essere stato smontato nel 1959, fu trasferito per altrettanta recondita ragione nella chiesa in argomento, non troverebbe riscontro la dichiarazione del Rettore della chiesa stessa, in base alla quale questo si trovava già nel suo sito al momento del suo insediamento nel 1954. C’é una notevole difficoltà a far concordare dichiarazioni, notizie ed atti d’archivio.
 
Stando però alle poche certezze che si hanno, appare sicuro che al 1960 il lampadario del Teatro esisteva ancora ed era nella piena disponibilità del Comune. Questo però non aiuta a risolvere il mistero dell’incredibile somiglianza delle decorazioni del manufatto presente nella chiesa della SS. Annunziata con quelle poste sul manufatto della struttura di Corso San Giorgio. E resta fermo anche un ulteriore aspetto, dato dallo stretto legame che pare esservi tra il Teatro Comunale e la chiesa della SS. Annunziata. Legame al quale soltanto la personalità di Nicola Mezucelli potrebbe dare una logica spiegazione. Architetto progettista a Corso San Giorgio e Priore a Via Nicola Palma.
 
Potrebbe ipotizzarsi, ad esempio, che il Mezucelli fece realizzare due distinte copie del lampadario: una da installare nella sala del Teatro Comunale, l’altra (probabilmente di dimensioni minori) da porre presso la chiesa nella quale aveva sede la Confraternita da lui guidata. Solo ipotesi, naturalmente, ma forse alla singolare somiglianza dei due lampadari non potrebbe darsi diversa spiegazione. Ad ogni modo, nonostante il mistero resti ancora tale, il lampadario della chiesa della SS. Annunziata potrebbe fornirci, pur se con le dovute proporzioni metriche, un’idea un po’ meno approssimativa delle fattezze del suo meraviglioso gemello installato nel Teatro.
Sono passati 51 anni dalla demolizione di questo nostro gioiello architettonico, eppure nessun altro suo elemento è mai stato intriso di tanto mistero come il lampadario centrale della sala. Chi l’avrebbe mai detto che, dopo oltre mezzo secolo, sarebbe spettato proprio a questo prezioso decoro, che ancora vive nell’immaginario dei teramani, rivestire il ruolo di ultima traccia del Teatro che ebbe il compito di adornare?
 
Quel che è certo, e in questa ricerca le certezze sono assai poche, è che non appare possibile studiare le vicende antiche e recenti del Teatro Comunale e della chiesa della SS. Annunziata, forse legate più di quanto possa apparire a prima vista, senza tenere nel debito conto l’opera e le attività di Nicola Mezucelli. Questi, Priore della sua Confraternita, realizzò il lampadario per il Teatro di Teramo e probabilmente anche una sua copia. Il primo, dal 9 febbraio 1960, pare scoparso nel nulla. Il secondo è oggi custodito nella chiesa che egli amministrò.
 
Curiosa ironia della sorte, probabilmente. O forse evento voluto. Ma il mistero comunque resta. E, con ogni probabilità, di quel meraviglioso lampadario in ferro dorato e «guarnito di cristalli», dotato di sculture femminili sui quattro lati e sorretto da «cordame con relativa ruota da tiro» sentiremo ancora parlare.

Fabrizio Primoli

 

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Complimenti Sig. Primoli. Veramente un bell'articolo... intrigante il giusto e trattante un argomento che per un attimo mi ha fatto fuggire dalle ben più misere vicende dei nostri tempi ed approdare con la mente ad un tempo fatto di carrozze, di tube, di marsine... veramente un bello scampolo di prosa!
Ormai è un mistero che dura da cinquanta anni e dubito che verrà mai chiarito.
Grazie dott. Primoli per questo spaccato di teramanità "vera", che annoverava fini musicofili, esteti, o semplicemente "persone colte"...Sono nata negli anni settanta, ma ho vissuto intensamente, dai racconti familiari, la querelle, dolorosa per quella teramanità vera, sull'abbattimento del vecchio teatro Comunale. In particolare ricordo i nostalgici interrogativi di mio padre e dei miei nonni sulla fine di quel bellissimo e preziosissimo lampadario; le supposizioni erano tante, quelle da Lei elencate ed anche qualche irripetibile malignità....(ma sono trascorsi molti anni...altri tempi). Tornando ai giorni nostri, viene in mente un' altra ventata di modernismo o rimodernamento, subita stavolta dalla Sala Consiliare del Municipio di Teramo; questa sì la ricordo bene e senza alcuna nostalgia, ma solo per un profondo senso civico e di appartenenza, mi domando dove siano stati accatastati o alienati o donati i vecchi banchi di legno e le sedie intagliate con lo stemma della città.. e penso pure a quell'antica pendola che accoglieva i cittadini nell'anticamera della Sala. Voci di corridoio sostengono sia in manutenzione-restauro: da chi? Dove?.... Altri arcani da svelare..
Ringrazio Daniela per le gentili parole. Riguardo alle residue tracce della Storia di questa nostra Città, segnalo anche che proprio oggi il Consiglio Comunale è chiamato ad esprimersi sul recupero di due antichi oggetti appartenuti al nostro passato: il vecchio meccanismo dell'orologio del Duomo (anno 1924) e la vecchia sirena antiaerea comunale (anno 1937), unica rimasta nella Provincia di Teramo, che la nostra Città sentì suonare dal 19 giugno 1938 al 14 luglio 1944.