Salta al contenuto principale

Il Corrosivo...Viabilità teramana vecchia e nuova

di Elso Simone Serpentini
9 minuti

La recente apertura di un altro tratto del Lotto Zero, (tra qualche polemica) mi suggerisce la rilettura di un antico documento del 25 aprile 1890, un opuscolo del senatore Vincenzo Irelli, che, riprodotto diciotto anni dopo sul giornale teramano “L’Italia Centrale”, consentiva già di essere usato come utile strumento comparativo con la situazione nuova del 1908. Le considerazioni svolte nell’opuscolo, intitolato “Edilizia teramana vecchia e nuova” erano relative, più che all’edilizia, alla viabilità, anzi all’urbanistica, ma allora il termine non esisteva ancora (almeno nel significato oggi corrente) e non poteva perciò essere evocato. Che cosa sosteneva il senatore Irelli? Ricordava che il secolo passato (il ‘700) aveva lasciato a Teramo il simulacro di una via mulattiera, costruita con maestria e imbrecciata, nella salita della prospiciente collina dell’Appennino, su progetto dello stesso ingegnere che aveva dato inizio al palazzo Delfico e dato il primo assetto architettonico, sia pure barocco, alle due case Bibbi (poi Palma) e de Cecco (poi Cerulli-Lucidi).

Quasi contemporaneamente, il vescovo Pirelli aveva fatto costruire le case attorno alla Cattedrale, trasformando gli scomposti fabbricati in edifici ad architettura modesta, ma uniforme, in tutto il lato occidentale della piazza, chiamata allora dell’Olmo e poi Piazza Grande. Fuori Porta San Giorgio Gianfrancesco Thaulero aveva fatto realizzare un viale ombroso con olmi, e questo era stato un refrigerio e un piacevole ritrovo per molti anni, fino a che non era stato capovolto dall’interramento di tutti i fossati che circondavano Teramo. La città non aveva nessuna strada rotabile e perciò si ritrovava rinchiusa tra i suoi due torrenti, il Vezzola e il Tordino. Con qualche rozza carrozza si poteva raramente percorrere una strada carrese appena tracciata su terreni più o meno in pendio. Per giungere a Giulia si impiegavano uno o due giorni, con rinfreschi a Ripattoni o Roano. Quando, sullo scorcio del 1814, Gioacchino Murat si trovava a Giulia, il sindaco di Teramo, Serafino Giordani, e altri cittadini illustri che erano andati ad ossequiarlo, nell’occasione erano riusciti ad ottenere un decreto reale per la costruzione della via rotabile tra Giulia e Teramo. Il decreto era stato poi confermato dal mutato regime seguito alla restaurazione borbonica e l’ing. Carlo Forti ne aveva progettato “la percorrenza e l’andamento”.

Aperto il primo tratto incassato fuori Porta Madonna, nel 1818 era stato iniziato il tratto nella pianura tra il Vezzola e il fosso di Cartecchio. Ma per l’ultimazione della strada, lunga appena 30 chilometri, ci erano voluti quaranta anni, a causa delle sempre scarse risorse a disposizione. La strada del Corso, tra Porta Madonna e Porta San Giorgio, era “un prosieguo di brutture e luridume”, ed erano stati abbattuti alcuni vecchi edifici, fra i primi il carcere, situato dove ora si trovava parte della casa Savini. Era stato un miglioramento igienico di gran rilievo e si era ottenuta una strada abbastanza larga, anche se con qualche restringimento che ostacolava il transito delle carrozze. Ulteriori interventi avevano eliminato i restringimenti e allargato il Corso. Molte famiglie avevano provveduto a migliorare l’aspetto architettonico delle loro case, purtroppo senza seguire i suggerimenti dell’ing. Forti, seguendo le quali le nuove costruzioni avrebbero rispettato le regole della buona architettura. Era stato costruito il ponte a catene sul Tordino, un ripiego dovuto ancora alle scarse risorse. Era lo stesso che esisteva allora, nel 1890, più volte rattoppato.

Un altro miglioramento alla viabilità era stato apportato nel 1823
dal basolamento, sia pure con piccoli ciottoli, della Strada di Porta Romana, che non aveva uscita che per i dirupi, era priva di regolare scolo delle acque e si allagava nei giorni di pioggia. Il palazzo della Prefettura, ultimato dopo dodici anni di lavori, nel 1836, aveva abbellito il Corso San Giorgio, ma rimaneva la bruttura dei restringimenti causati dalla casa Thaulero, con portici rozzi e lordi, e dalle case Cichetti e Schips. Grazie all’intervento dell’illustre concittadino Melchiorre Delfico (che aveva comperato le case e poi modificate) erano stati eliminati i restringimenti e così il Corso era stato abbellito a mezzogiorno. Era stato poi realizzato lo slargamento di una strada esterna lungo gli orti De Rospi e dei Cappuccini, in modo da ricongiungersi con sopportabile pendio alla strada interna di Porta Romana ed era stato aperto il tronco di strada a rettifilo con il Corso interno fuori San Giorgio, con a mezzogiorno la realizzazione di un orto sperimentale, recintato da una siepe, che aveva abbellito la zona. La strada era stata in seguito prolungata, sempre a rettifilo, fino all’incontro col fiume, diventando poi parte della via rotabile per Ascoli.

Il taglio della collina a settentrione, resosi necessario, aveva causato la deviazione del sottostrato di argilla delle sorgenti che fornivano acqua alla fontana di Porta San Giorgio, inconveniente previsto dall’inascoltato ing. Forti. Poiché, abbattuto il rudere dell’antica Porta San Giorgio, la chiesuola della Madonna degli Angeli impediva la libera visuale del viale che era stato realizzato, era stato deciso di abbatterlo. La costruzione del ponte sul Vezzola, ultimata nel 1833, aveva dato a Teramo il diritto di dirsi una città. Dopo notevoli miglioramenti igienici. ottenuti con severe prescrizioni e precisi regolamenti, di cui la costruzione del Camposanto era stato simbolo rilevante, era stata aperta la strada di circonvallazione tra largo San Giorgio e il ponte sul Vezzola, realizzata sul luogo dove si trovavano i ruderi cadenti delle mura della città, che erano state abbattute a fatica, perché in qualche tratto erano larghe più di un metro e impietrite dal tempo e dall’umidità, oltre che dai continui interramenti e sterramenti. La proposta di un nuovo teatro e della realizzazione di una strada per Montorio erano state aspirazioni difficili da concretizzare, ma alla fine alla prima si era data esecuzione e della seconda erano stati cinque cittadini munifici che si erano accollate le spese del primo tronco. Intanto era stato impiantato l’arco a Porta Madonna.

Ultimata la strada di circonvallazione dal lato boreale,
era nata l’aspirazione di farne una a mezzogiorno. Si era proceduto a realizzare il primo tratto, da Porta Madonna al Carmine. e qualche anno dopo quello da Porta Romana a San Giuseppe. Erano stati poi diroccati altri edifici per sistemare il tratto del Corso da Porta Madonna a Casa Savini, ma purtroppo le polemiche non avevano consentito lo slargamento iniziato da Francesco Cerulli quando aveva iniziato la sua palazzina al Trivio, che era rimasto una bruttura con quel tratto curvilineo. Con il 1849 si era aperto un brutto periodo, e si era avuto un trentennio nel quale diverse opere erano state iniziate, molte delle quali non ultimate, anche se era stato realizzato lo spianato fuori Porta Madonna, sgombrato dai secolari ulivi e livellato costituendo un ingresso vistoso alla città. Era stata anche livellata e ripulita la Piazza Grande, con l’interramento delle molte fosse da grano, erano state anche livellate anche Piazza della Cittadella e Piazza del Mercato (quest’ultima anche abbassata), era stata allargata la strada dell’anfiteatro.

Nell’opuscolo del senatore Irelli venivano anche ricordate altre opere realizzate fino al 1890, che all’autore fornivano il destro di trarre un bilancio sostanzialmente positivo di quanto era stato fatto e uno sprone rivolto agli amministratori dell’epoca a proseguire quanto di bene era stato iniziato. Già L’Italia Centrale, con la ripubblicazione dell’opuscolo, intendeva fornire uno elemento di confronto e di lettura della realtà del 1908, con le discussioni in corso tra le famiglie Savini e Castelli “per una piazza o per un fabbricato infelice”.

Anche noi teramani di più di cento anni dopo, del 2013, possiamo utilizzarlo come strumento che agevoli la lettura della nostra realtà, consapevoli come siamo, o come dovremmo essere, che, se il Lotto Zero arriva dopo 24 anni, monco, a due sole corsie e, quindi, è poco più di una mulattiera moderna, con un tracciato assurdo e con un peggioramento anziché di un miglioramento della viabilità ordinaria cittadina, molto si sbagliava nei secoli passati e molto si è continuato a sbagliare oggi, facendo assai poco per sottrarre Teramo al suo isolamento e alla sua oziosità.
                             


 

Commenta

CAPTCHA

Commenti

Fra il XIX secolo e il primo trentennio del XX questa Città ha assistito ad uno sviluppo urbanistico e culturale di prim’ordine. A livello architettonico, ma non solo, vi fu un fermento straordinario che elevò Teramo davvero al rango di Capoluogo. Era una Città non soltanto culturalmente, economicamente e socialmente viva e dinamica… ma anche esteticamente bella. Erano altri tempi, senz’altro, tempi in cui l’architettura (a differenza di ciò che troppo spesso avviene oggi) aveva un’anima, aveva un’etica, aveva un gusto… e aveva rispetto anche per i canoni e gli stili classici, che, al contrario di ciò che spesso contraddistingue le attuali Facoltà di Architettura, avevano ancora cittadinanza nei piani di studio. Non si innovava per il puro gusto di innovare, ritenendosi autorizzati a slegarsi, più o meno elegantemente, a ciò che era tradizione di secoli e secoli di stile. E laddove si innovava, com’era pur giusto, lo si faceva con rispetto verso il passato. Nell’estetica, nel gusto e anche nelle costruzioni preesistenti. Erano tempi in cui, pur nelle ristrettezze di bilancio, gli amministratori locali e nazionali avevano coraggio. Erano tempi in cui le scelte, anche elettoralmente non redditizie, si facevano. E quando nelle stanze delle decisioni si valutava qualche progetto, lo si faceva da signori. Perché lo si faceva pensando alla Città, a quella Teramo da far crescere e rendere grande, e non pensando alle piccinerie che tanto piacciono alla politichetta dei giorni nostri. Erano altri tempi, appunto. L’eleganza e lo stile, non soltanto nell’architettura, li abbiamo purtroppo persi strada facendo.
concordo in toto con fabrizio primoli........
DA OLTRE 50 ANNI LA NOSTRA CITTA' sembra avere perduto il senso estetico e il buon gusto di una volta. vedo restauri in centro di edifici d' epoca ,dipinti con vernici sintetiche indelebili e improbabili, con infissi in alluminio anotizzato, insegne pubblicitarie in plastica (abnormi). haime! se si ha cattivo gusto, non si capisce nulla, e non c'è molto da fare. tutto dipende dalla propria sensibilità, dalla cultura, dall'ambiente cui si appartiene e dalla capacità di guardarsi intorno. tuttavia, timidamente, ritengo che questa capacità si possa insegnare......... ai nostri bambini, si perché i bambini hanno una tendenza istintiva verso l'arte, ma, se non guidati opportunamente, rischiano di non sviluppare alcune sensibilità in questa direzione. si potrebbe dunque iniziare, già dall'asilo, a mostrare ai bambini che cos'è il buon gusto facendo vedere loro importanti opere d'arte anche collocandole, semplicemente alle pareti ( i nostri piccoli concittadini apprezzano molto i lavori dei nostri maestri del colore!). il pregiato assessore competente vorrà valutare la proposta ( il costo è praticamente ZERO, semplici stampe fornite anche dalle famiglie) . GLI ULTIMI 50 ANNI la nostra città è stata dominata dal cattivo gusto assoluto, nei gesti, nel modo di atteggiarsi, nel comportamento di certa calasse politica. tuttavia, senza ironia, confido che il futuro possa essere improntato a un maggior rigore..........come mai il cattivo gusto non esiste nei nostri boschi ????.....le citoyens d'abord
Concordo pienamente con il Sig. Aznavour. Il gusto si affina, ma occorre il desiderio di conoscere e scoprire. Per molti adulti è tardi, hanno perso la curiosità e l'amore per la cultura; i bambini, invece, sono avidi e affamati di conoscenze.