Sono andato a vedere “Django unchained”, l’ultimo film di Quentin Tarantino, e mentre mi godevo l’interpretazione (fra gli altri attori) di Leonardo Di Caprio pensavo a Teramo e al professor Serpentini.
Nella sua villa di americano del sud, bianco e schiavista dell’800, Di Caprio spiega ai suoi commensali la propria inquietudine per il fatto che un “negro” di proprietà della sua famiglia abbia accudito per decenni suo nonno e suo padre, tagliando loro la barba tre volte la settimana, senza mai decidersi a compiere il gesto che lo stesso Di Caprio avrebbe compiuto se si fosse trovato nei panni dello schiavo: tagliare la gola ai propri padroni.
Per darsene una ragione Di Caprio esibisce il cranio dello schiavo di famiglia, a suo tempo deceduto per anzianità, che conserva in una borsa, e con una sega ne rimuove una porzione nel lato posteriore al fine di mostrare ai commensali come la ragione di tale imperitura rassegnazione risieda in tre fossette craniche che indicherebbero come il servilismo sia insito nei geni del popolo nero.
La scena mi ha ricordato subito le parole di Serpentini, il quale giustamente si è di recente rammaricato di quanto sia drammatica la situazione della città di Teramo, e ciò a cagione del fatto che i teramani non siano mai stati capaci (salvo il manipolo degli insorti di Bosco Martese) nel corso dei millenni di fare una rivoluzione, una rivolta, finanche una semplice sommossa. Niente.
Sempre uguali i teramani, servili fino alla fine, pronti a subire qualsiasi angheria con spirito di immutabile rassegnazione.
Non può sfuggire come, dinanzi ad un popolo talmente remissivo, la classe politica si sia abituata da tempo ad infierire sul corpo martoriato della cittadinanza allo stesso modo degli schiavisti americani che torturavano i propri schiavi con frustate e violenze di ogni genere.
Fino a quando la reazione della città non sarà altrettanto cruenta nei confronti dei propri carnefici, essi continueranno ad abusare della pazienza dei cittadini, defraudandoli di ogni diritto, di ogni risorsa, di ogni dignità.
Ma non c’è peggior schiavo di chi sa solo servire e disdegna finanche l’idea di poter aspirare a qualsiasi libertà, che anzi rifugge.
E allora che schiavitù sia, ma per favore che nessun servo si lamenti della propria condizione di minorità, perché le catene sono state spezzate da tempo e le palle al piede restano solo mentali.
Per cui se a guidarci sono degli incompetenti, affaristi, imbroglioni, bugiardi e ipocriti è perché il nostro servilismo ci spinge ineludibilmente a votarli e rivotarli.
Non piangiamo mentre ci facciamo frustare, mentre ci facciamo derubare il futuro, mentre ci facciamo stuprare la città e la regione: cerchiamo almeno di fare la faccia allegra del masochista, cerchiamo almeno di far sembrare che le frustate ci fanno godere e che il declino di Teramo e dell’Abruzzo è il migliore fra i possibili destini.
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