Ribadisco, proprio perché sono un dipendente provinciale, che sono favorevole senza riserve all’eliminazione di tutte le Province per i motivi che ho ripetutamente spiegato ai lettori di questa rubrica, e sono parimenti favorevole all’accorpamento di metà delle Province esistenti, come sancito dalla Legge sulla spending review, perché è meglio un mezzo risultato che la perpetuazione di uno status quo ormai stucchevole e disdicevole.
Pur tuttavia, come già chiarito dal costituzionalista Prof. Di Salvatore (www.iduepunti.it/lex/8_agosto_2012/ll-riordino-delle-province-secondo-la-%E2%80%9Cspending-review%E2%80%9D ), l’art. 17 della Legge sulla spending review presta il fianco a consistenti profili di dubbia legittimità costituzionale in riferimento all’art. 133 della Costituzione, il quale prevede che il mutamento delle circoscrizioni provinciali sia stabilito su “iniziativa” dei Comuni e non possa essere operato d’imperio dal Governo centrale (pena una probabile incostituzionalità).
Domani si terrà il vertice convocato da Brucchi per elaborare delle strategie al fine di tentare di salvare “con i fucili e le baionette” la Provincia di Teramo dalla scomparsa.
Devo purtroppo constatare, dalla ricostruzione operata dal quotidiano Il Centro (ilcentro.gelocal.it/teramo/cronaca/2012/08/20/news/teramo-sindaci-e-deputati-uniti-per-salvare-la-provincia-1.5569294), che alcuni dei convocati al vertice hanno già dichiarato delle castronerie (forse nella speranza di apparire intelligenti) tali da far ritenere inconcludente la riunione.
Secondo il senatore PDL Paolino Tancredi la Provincia potrebbe salvarsi acquisendo fette di territorio pescarese: “si potrebbe fare un tentativo rivedendo i confini, ad esempio acquisendo l’area vestina, Teramo potrebbe avere i requisiti”. Non commento tale “voce dal sen fuggita” perché la ritengo indegna di una intelligenza adeguata al ruolo di parlamentare (sorvolo sul concetto di coerenza, perché è troppo bello votare favorevolmente – come ha fatto Tancredi – la legge sulla spending review e poi lamentarsi della fine della Provincia di Teramo; se avesse avuto il coraggio che manzonianamente non può darsi avrebbe votato contro la legge ammazza Province).
Il deputato del PD Tommaso Ginoble, un paria del Parlamento che ci fa vergognare di essere teramani sia perché staziona in fondo alla classifica dell’indice di produttività parlamentare sia perché ha votato anche lui favorevolmente per la legge sulla spending review (che oggi ovviamente critica), osserva: “Io penso che c’è la possibilità di avere tre Province in Abruzzo: L’Aquila, Teramo e Chieti-Pescara (…) Se noi invece venissimo accorpati saremmo solo un’appendice. Ma per fortuna, essendo una Provincia antica, la storia ci aiuta”.
Qualcuno dovrebbe spiegargli (ma è impossibile che capisca) che siamo più vecchi solo della Provincia di Pescara, ma ben più giovani delle Province di Chieti e di L’Aquila, e comunque Chieti non sarà mai così arrendevole da perdere il capoluogo in favore della più popolosa Pescara (che, secondo i criteri della delibera del Consiglio dei Ministri del 20 luglio scorso, diverrà il capoluogo di chiunque dovesse accorparla poiché è appunto la città più popolosa), ben sapendo di essere l’unica Provincia abruzzese ad avere entrambi i requisiti territoriali e di popolazione richiesti dalla Legge sulla spending review per salvarsi.
Il consigliere regionale PDL Emiliano Di Matteo, ovvero il nulla della Val Vibrata, ritiene come un buon quisque de populo che “la riforma di Monti sia una porcheria contro la quale protestare. Non si può pensare che la soluzione in Abruzzo sia accorpare la Provincia di Teramo: non fa risparmiare e fa arrabbiare i teramani”.
Il sindaco di Giulianova Francesco Mastromauro è sulla buona strada: “I politici della nostra provincia sono in grave ritardo, se ne parla da mesi. Potevamo essere interpellati prima (…) A questo punto l’unico modo è trovare accordo serio, su basi paritarie con Pescara”.
Tutti concordano, secondo la tecnica del “benaltrismo”, che le soluzioni avrebbero dovuto essere ben altre e che avrebbero dovuto essere abolite tutte le Province; peccato che se ne siano convinti solo oggi che è divenuto legge il dimezzamento del loro numero.
L’unico che sembra avere una idea di cosa sia una tattica difensiva è l’assessore regionale al lavoro Paolo Gatti, il quale ventila l’ipotesi “che la situazione potrà essere risolta sotto il profilo dell’anticostituzionalità delle norme”.
Difatti quella dell’incostituzionalità è una strada da percorre comunque, a prescindere dagli esiti, se si vuole difendere ad oltranza la sopravvivenza della Provincia di Teramo (sebbene lo scrivente ne auspichi l’eutanasia quale passo iniziale per l’eutanasia di decine di Comuni del teramano e di tutti gli enti intermedi comunque denominati).
In pratica la Regione potrebbe tentare l’impugnazione diretta dell’art. 17 della Legge sulla spending review, ma è dubbio che possa ottenere un buon esito, poiché l’art. 127 secondo comma della Costituzione prevede che “La Regione, quando ritenga che una legge dello Stato leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge”.
Non v’è chi non veda come la sfera di competenza della Regione nella questione Province non venga affatto lesa, e purtroppo Province e Comuni non hanno autonomi poteri di impugnazione costituzionale.
Quindi la Giunta del Presidente Catarra ha una sola arma: deliberare l’impugnazione – dinanzi al Tar del Lazio – della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012, recante la “Determinazione dei criteri per il riordino delle province, a norma dell'articolo 17” della Legge sulla spending review, chiedendone l’annullamento previa rimessione alla Corte Costituzionale della questione di costituzionalità del vigente impianto normativo dell’art. 17 medesimo.
In tal caso il TAR Lazio potrebbe giudicare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 17 della legge sulla spending review in relazione al sopra citato art. 133 della Costituzione, disponendo contestualmente la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Se il Tar del Lazio dovesse sollevare con propria ordinanza la questione di legittimità costituzionale, allora qualche speranza di sopravvivenza la Provincia di Teramo potrebbe giocarsela con la Consulta.
Sempre che il CAL (Consiglio delle Autonomie Locali), per quanto di sua competenza, si astenga - nel termine assegnato dei 70 giorni a far data dal 24 luglio scorso (cioè entro il 2 ottobre) - dal formulare ipotesi di riordino, ovvero ipotizzi la conservazione di tutte e 4 le Province esistenti, in maniera da rendere plausibilmente incostituzionale l’eventuale provvedimento imperativo del Governo che dovesse mutare le circoscrizioni provinciali contro la volontà delle Autonomie Locali (che eventualmente avessero formulato la proposta di permanenza delle 4 Province) o a prescindere dalla loro volontà (nel caso di inerzia del CAL dal formulare proposte), e comunque senza la costituzionalmente richiesta “iniziativa” dei Comuni.
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