Noi amiamo Teramo. Amiamo le nostre montagne, il nostro mare, le nostre colline. Siamo come loro. Abbiamo i loro ritmi stagionali, i loro colori, le loro tradizioni. Quando eravamo piccoli, molto piccoli, i pediatri di cuore e anima, avevano nel loro ricettario, la Villa Comunale. "L'aria delle paperelle", si chiamava. Anticipava di un anno il mare e con l'ombra del Giardino Botanico, la pineta. Oggi non esiste più, distrutta da una programmazione politica suicida e deplorevole. Anni di ritardo sul cronoprogramma dell'Ipogeo. Una struttura orrenda. Un pugno in un occhio. Una cafonata. Anni senza la nostra Villa Comunale, sommersi da polvere di cantiere e giochi in stato di abbandono. Guardate le fotografie. Immaginate i nostri bambini, correre e giocare. Che ricordi avranno della nostra Meraviglia? Stiamo rubando parte del rapporto tra genitori e figli. La tradizione.
Marco Moschetta ci scrive:
"Caro Giancarlo, non ne potevo più. Dovevo fare qualcosa per denunciare la situazione.
In fondo, alla Villa Comunale di Teramo io sono letteralmente “nato alla vita”. Abitavano proprio lì vicino i miei genitori quando hanno avuto me. E la mia mamma mi portava quando ancora stavo in carrozzina a passare i pomeriggi di una tarda estate di 45 anni fa proprio lì.
Forse è per questo motivo che ancora oggi, quando sono triste, o frustrato, o semplicemente alla ricerca di uno spiraglio di vita e di natura, guardo verso l’alto, a scrutare il cielo tra i rami degli alberi. E’ una cosa che mi ha sempre dato una immediata sensazione di pace.
Quando sono cresciuto, poi, alla Villa Comunale andavo a giocare con i miei amichetti d’infanzia e un cane lupo bastardone nostro “amico”, che ci seguiva sempre nelle esplorazioni dei mille luoghi fantastici,che la fantasia degli otto anni ti permetteva di scovare in quel luogo – allora – immenso. Credo FULL si chiamasse il pacifico bastardone (che poi letteralmente sbranò un gatto davanti ai nostri occhi, però).
La Villa Comunale è stata il posto dei primi sogni “in compagnia” più avanti, e di qualche lettura che abbisognava di un’ambientazione adeguata (i ragazzi della via pal, divorato sulla panchina della “pista da ballo”).
Quando poi sono diventato adulto, e l’università e il lavoro mi hanno portato via da Teramo, la Villa era il posto dove ritornare, dove passare per un attimo anche se proprio non ero di strada. Il posto dove ricordi di infanzia e immaginazione del futuro trovavano lo specchio del laghetto per incontrarsi (nonostante l’opera d’arte cubica che per fortuna è stata rimossa).
Oggi la Villa è il posto dove vorrei portare mio figlio per fargli immaginare e credere che il mondo sia un posto fantastico, come lo sembrava a me quando avevo la sua età. Anche se non è proprio vero, conviene nella vita rimanere sempre convinti che il mondo sia un posto fantastico.
Peccato che oggi la Villa sia ridotta ad uno schifo.
Degrado, degrado materiale che parla di un degrado personale, progetti pubblici (consegna dei lavoro: ottobre 2009 recita il tabellone) a dir poco imbarazzanti (il totem di cemento armato davanti al “museo”), sporcizia, e “passeggiate di cani” dappertutto (a proposito, non ci sarebbe una multa da 1000 euro? Credo non sia stata elevata nemmeno una!).
Ho avuto tempo fa una coppia di amici in vista dall’estero, e li ho portati alla Villa senza ricordarmi dello stato in cui si trovava: è stata un’esperienza imbarazzante.
Senza dare eccessivi connotazioni politiche a queste mie considerazioni, che pur mostrano il fallimento di una certa amministrazione (nel 2010 la Teramo Ambiente ha speso 8,5 milioni l’anno di stipendi e salari, in crescita del 30% rispetto al 2009), mi viene da fare un paragone con le zone più degradate d’Italia, che sono degradate e anche brutte, come se bruttura e degrado vadano a braccetto così come armonia e buona amministrazione.
A Torino il parco del Valentino è curato come una villa privata di proprietà di una prospera famiglia di industriali; mentre solo nei comuni vesuviani ostaggio della camorra le aree verdi pubbliche sono trattate come la nostra Villa Comunale.
Non c’è razzismo in questo, e nemmeno pregiudizio: mi chiedo solo quale sia la strada che la nostra città intende percorrere per il futuro.
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