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Il corrosivo : Epistola a Sor Paolo Proconsole

di Elso Simone Serpentini
5 minuti

A Sor Paolo Proconsole,

Dalla vostra lettera, che ho accolto con la dovuta riverenza e con affetto, ho appreso con grato animo e per diligente considerazione quanto vi stia a cuore ed in mente il mio rimpatrio: per la qual cosa di tanto cresce la mia riconoscenza verso di voi, quanto più di rado capita agli esuli di ritrovare amici.”
Così scriveva Dante Alighieri, rispondendo ad uno sconosciuto amico fiorentino che gli indicava una possibilità di poter essere riammesso nella sua Firenze, ma a condizione che ammettesse le proprie colpe e pagasse una multa di cento  fiorini e partecipasse, con una candela in mano, a un corteo diretto al battistero di San Giovanni, dove, insieme agli altri esuli, avrebbe ottenuto il perdono in una cerimonia pubblica. Dante rispose che al desiderio di ritornare a Firenze anteponeva altri valori, a cui non era disposto a derogare. “Se per nessun’altra di tali vie in Firenze si può entrare, io in Firenze non entrerò giammai”, scriveva Dante. A voi, Proconsole, che così calorosamente mi avete fatto pervenire l’invito a tornare nella città dove da tanto tempo siete un amato bassorilievo, dicendomi quanto vi stia a cuore il mio rimpatrio e aggiungendo che lo ritenete perfino necessario, rispondo con le parole del Divino Poeta: “Se per nessun’altra di tali vie a Teramo io posso tornare, a Teramo io non tornerò giammai.
Le condizioni che mi sono state offerte per rimpatriare, di cui mi avete così dettagliatamente informato, sono per me inaccettabili, sì che preferisco rimanere esule in terra straniera, piuttosto che tornare ad essere esule nella mia stessa città.
Voi stesso non mi nascondete che tutti i miei amici ed estimatori sono anch’essi scomparsi o esuli o ridotti a mendicare sul sagrato delle chiese, sì che io, pur tornando, non potrei che vedermi condannato ad una ben miserevole solitudine, spregiata dai più e forse in odio ai potenti. Come potete sperare in un mio ritorno, se voi stesso mi dite che opere d’arte miseramente deperiscono in sordide stamberghe, gli amministratori della città non si occupano di quel che poco che di artistico e di valido è rimasto in ogni campo e ragliano come asini di Buridano, balbettando il loro italiano più che non facessero i barbari macedoni con la meravigliosa lingua greca e i contadini bergamaschi con la lingua di Cicerone?
A voi,
Proconsole, che così tanto caldeggiate il mio ritorno ricordo che voi stesso siete da tempo trascurato perfino da chi continua a passarvi davanti e che alcuni edifici civili e religiosi che non sono a voi tanto distanti sono in rovina.
Come potete chiedermi di tornare in una città nella quale fui tanto a lungo offesa, dileggiata, schernita, ostracizzata e tenuta in perfetto “non cale”? Da altri amici che mi tengono informata con le loro epistole su cose vanno le cose all’ombra di quel mai dimenticato e amatissimo Duomo tra due fiumi, so che la vita colà è sempre più spenta e che per chi come me vive o anche solo sopravvive di beni non solo materiali, grama sarebbe la quotidianità senza speranza e senza aspirazioni, costretta a rimanere a lungo a soffrire di sete e di fame, e perire di inedia e a vedermi ancora più derisa oggi che ieri e domani ancor più che oggi.
Ho apprezzato la delicatezza con la quale accennate alla durezza dell’esilio, e quindi l’amorevolezza con la quale mostrate di avere pietà per la mia sorte, dopo che fui tanto amaramente espulsa dalla mia città.
Ma io voglio corrispondere con la mia delicatezza e con a mia amorevolezza nel ricordarvi che il mio orgoglio e la mia dignità non mi consentono, come non consentivano all’Alighieri, di accettare per la mia riammissione nella città che mi ha espulso una multa pur esigue che fosse e di andare con una candela in mano dietro ad uno che guidasse un corteo diretto al battistero del Duomo, per ottenere il perdono in una cerimonia pubblica insieme con altri esuli, anch’essi cacciati uno dopo l’altro: Decenza, Buon Gusto, Sapienza, Onore, Dignità, Decoro... Invio a voi, Proconsole, il mio saluto amicale e la mia solidarietà, con i complimenti per il coraggio che mostrate nel restare in quella città dove ormai tutto è perduto, anche se mi permetto di ricordavi che assai probabilmente voi non avete lasciato la città solo perché non vi potete muovere. Ma ricordate che questo non basta, perché potreste essere esiliato lo stesso.     Cultura Teramana

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Condivido, caro e bravissimo professore