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Il bambino come indicatore sociale…

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La crescita edilizia rapida e disordinata ha comportato a Teramo, oltre ad un eccessivo ed irrazionale consumo del suolo, una netta separazione dei luoghi in cui le persone vivono, lavorano, si istruiscono, fanno acquisti e si divertono.
L’esempio più evidente è la costruzione del cosiddetto campus universitario, di cui sono ben visibili gli effetti sull’economia e sulla vita sociale cittadina. Eppure, senza trarre insegnamento dall’errore compiuto, molti rilanciano la proposta di un polo scolastico.
La ghettizzazione delle funzioni è figlia della settorializzazione e ha come conseguenza l’impoverimento dell’economia e la difficoltà di creare ambiti di aggregazione sociale.
Teramo, che era una città a misura d’uomo, sta assumendo solo i contorni negativi di una metropoli (quartieri dormitorio, traffico e parcheggi selvaggi, paesaggio rurale rosicchiato dallo sprawl urbano, tanto per citarne alcuni), poiché i nostri amministratori hanno tralasciato un obiettivo fondamentale: migliorare il livello di qualità della vita.
La progettazione urbana, invece, non può prescindere dal reale fabbisogno della comunità, in modo da perseguire non solo il decoro dal punto di vista estetico ma soprattutto la rinascita sociale, economica e morale, perché riqualificazione urbana e rivitalizzazione umana sono le due facce della stessa medaglia.

Per ridare un senso alla città e rigenerarne il tessuto sociale, ogni quartiere va ricomposto in modo da assicurare una qualità di vita soddisfacente già all’interno dei piccoli nuclei. L’obiettivo è raggiungibile se i servizi di quartiere inderogabili vengono restituiti ai residenti, servizi ben individuati da una normativa che continua ad essere disattesa oltre che dall’amministrazione anche dagli stessi addetti ai lavori (mi riferisco al DM 1444/68, a cui la Cassazione ha riconosciuto efficacia di legge). Sono servizi gli asili nido, le scuole materne e quelle dell’obbligo, il verde pubblico attrezzato a parco e per il gioco e lo sport, i mercati di quartiere, i parcheggi pubblici, le biblioteche, i cinema comunali, le chiese, i luoghi di ritrovo, i centri sociali, le attrezzature assistenziali e sanitarie, le sedi amministrative, …, ed è stabilita una correlazione ben precisa tra la quantità di servizi ed i residenti di un’area. Solo se le dotazioni dei quartieri vengono realizzate, l’economia si rivitalizza: in ogni ambito sorgerebbero negozi di prima necessità (alimentari, fornai, bar, tabaccai, ortofrutta, ecc..,), studi professionali e luoghi di ritrovo per i residenti. E’ lo stesso menzionato decreto che raccomanda di reperire gli spazi per la realizzazione dei servizi entro i limiti delle disponibilità esistenti nelle adiacenze immediate, ovvero su aree accessibili tenendo conto dei raggi di influenza delle singole attrezzature e della organizzazione dei trasporti pubblici.
Una normativa, dunque, che parla di noi, dei cittadini, degli abitanti di un quartiere e delle loro necessità, del loro diritto ad avere una coesione sociale, a partecipare alla vita del loro quartiere prima e a godere della città poi, in un perfetto ordine gerarchico che implica anche un avvicinamento civico al luogo in cui si vive. Perché non osservarla? Si potrebbe applicarla utilizzando il bambino come indicatore sociale, poiché se la città è sensibile ai bisogni dei bambini, si può anche fare carico dei bisogni di tutti, compresi quelli dei disabili.
Arch. Alice Tramaglini  

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