La crescita edilizia rapida e disordinata ha comportato a Teramo, oltre ad un eccessivo ed irrazionale consumo del suolo, una netta separazione dei luoghi in cui le persone vivono, lavorano, si istruiscono, fanno acquisti e si divertono.
L’esempio più evidente è la costruzione del cosiddetto campus universitario, di cui sono ben visibili gli effetti sull’economia e sulla vita sociale cittadina. Eppure, senza trarre insegnamento dall’errore compiuto, molti rilanciano la proposta di un polo scolastico.
La ghettizzazione delle funzioni è figlia della settorializzazione e ha come conseguenza l’impoverimento dell’economia e la difficoltà di creare ambiti di aggregazione sociale.
Teramo, che era una città a misura d’uomo, sta assumendo solo i contorni negativi di una metropoli (quartieri dormitorio, traffico e parcheggi selvaggi, paesaggio rurale rosicchiato dallo sprawl urbano, tanto per citarne alcuni), poiché i nostri amministratori hanno tralasciato un obiettivo fondamentale: migliorare il livello di qualità della vita.
La progettazione urbana, invece, non può prescindere dal reale fabbisogno della comunità, in modo da perseguire non solo il decoro dal punto di vista estetico ma soprattutto la rinascita sociale, economica e morale, perché riqualificazione urbana e rivitalizzazione umana sono le due facce della stessa medaglia.
Una normativa, dunque, che parla di noi, dei cittadini, degli abitanti di un quartiere e delle loro necessità, del loro diritto ad avere una coesione sociale, a partecipare alla vita del loro quartiere prima e a godere della città poi, in un perfetto ordine gerarchico che implica anche un avvicinamento civico al luogo in cui si vive. Perché non osservarla? Si potrebbe applicarla utilizzando il bambino come indicatore sociale, poiché se la città è sensibile ai bisogni dei bambini, si può anche fare carico dei bisogni di tutti, compresi quelli dei disabili.
Arch. Alice Tramaglini
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