"Il Fatto non sussiste".
Il ricorso in Cassazione dell'avv. Gianni Falconi, accolto dalla Corte di Cassazione, su richiesta anche della Procura Generale è stato il proemio della sentenza di assoluzione che ha cassato la condanna del Tribunale penale di Teramo.
Una brutta figura per la nostra Città.
Vi ricordo la storia, riportando l'articolo di Matteo Marini, pubblicato su Repubblica.it
L'Otto Febbraio del 2016.
" UN GIORNALISTA e un blogger abruzzesi sono stati condannati a Teramo per violazione del segreto investigativo. La colpa di Fabio Capolla e Giancarlo Falconi è stata solo quella di aver pubblicato una notizia, il primo sulle colonne del Tempo e il secondo sul blog teramano I due punti. I due hanno racccontato di una denuncia per molestie sessuali in un ufficio pubblico.
Al di là dei 160 euro di ammenda, pena sospesa, a destare l'incredulità non solo dei due cronisti è tutto lo svolgimento della vicenda che, entrambi, non hanno timore di definire "assurda" e addirittura "kafkiana". Sia perché si tratta di una ferita inferta da un piccolo tribunale di provincia alla libertà di informazione, che la dimensione locale non sminuisce, ma anche nel merito delle prove portate a processo.
A febbraio 2013 Capolla e Falconi pubblicano la notizia di una denuncia per molestie sessuali e mobbing fatta da una vigile di Teramo nei confronti del comandante della Polizia municipale. I fatti sono da trattare con delicatezza, perché le accuse sono pesanti. Ma la notizia, naturalmente, è di interesse pubblico e loro quindi scrivono. Non è dello stesso avviso però il pm della Procura di Teramo, Laura Colica, che inizia sì le indagini sulle molestie, ma apre un fascicolo per violazione di segreto d'indagine.
Secondo l'accusa, i due avrebbero reso pubblica la querela scritta dalla vigile (imputata anche lei per violazione di segreto e a processo con rito ordinario) e consegnata alla polizia giudiziaria: un documento (tra l'altro non pubblicato per intero) il cui contenuto, secondo la pm, doveva restare totalmente segreto.
Questo è il primo punto controverso e contestato dai legali della difesa: "La querela scritta non può essere un documento sottoposto a segreto d'indagine - puntualizza Gianni Falconi, legale del fratello Giancarlo - perché non viene dalla Procura ma direttamente dalla parte che sporge denuncia. È una cosa diversa dalla denuncia orale. È scritto in diversi articoli del codice di procedura penale e si deduce anche da una sentenza della Cassazione del 2014". Capolla, che è assistito dall'avvocato Giandonato Morra, addirittura quel documento riferisce di non averlo nemmeno mai visto.
Nei giorni successivi tutte le testate locali riprendono la notizia e pubblicano ulteriori dettagli. Ma a processo finiscono solo Falconi e Capolla che rinunciano all'oblazione (pagando avrebbero potuto estinguere il reato) e vanno a processo chiedendo il rito abbreviato. Oltre che una questione di principio, la difesa del diritto di informazione, è anche una precisa strategia processuale, spiegano i legali. Negli atti acquisiti fino a quel momento, infatti, manca proprio la stessa querela che, a rigor di logica, il giudice avrebbe dovuto confrontare con gli articoli per stabilire la colpevolezza degli imputati. Dentro il fascicolo sono presenti solo i tabulati telefonici (non le intercettazioni) che dimostrano solo che i tre imputati si erano parlati al telefono. E col rito abbreviato non sono ammesse ulteriori prove. I due giornalisti e i loro avvocati erano convinti che sarebbe finito tutto in una bolla di sapone.
Dopo tre anni invece, il giudice li ha condannati. Il danno e la beffa, visto che alla lettura della sentenza non sono presenti né Falconi né Capolla e nemmeno i legali di fiducia. "L'appuntamento per la lettura della sentenza era alle 15.45 - raccontano - noi ci siamo presentati mezz'ora prima e abbiamo atteso. Non si è visto nessuno. Poi alle 16.15 la pm Stefania Mangia, che sosteneva l'accusa come sostituta della titolare dell'indagine, ci ha chiamati per annunciarci, informalmente, che la sentenza era già stata letta ed eravamo stati condannati".
Una pena tutto sommato irrisoria: 160 euro di ammenda. Ma Massimo Biscardi, il giudice non togato che ha emesso la condanna, in qualche stanza nel tribunale di Teramo ha anche letto le motivazioni contestuali alla pronuncia della sentenza. Falconi e Capolla sanno di essere stati condannati, dunque, ma non sanno ancora il perché. "Abbiamo 15 giorni per presentare il ricorso in Cassazione - conclude Gianni Falconi - e dobbiamo fare in fretta perché i termini decorrono dalla lettura. Con il weekend di mezzo abbiamo già perso tre giorni".
Nel frattempo, a maggio 2015, la vigile è stata condannata per calunnie nei confronti del comandante della Polizia municipale. Il giudice non ha creduto alla sua denuncia ma questo non ha niente a che fare con la vicenda parallela dei due giornalisti. Il Sindacato Giornalisti Abruzzesi (Sga), evidenzia in una nota in solidarietà a Falconi e Capolla come siano stati "condannati per aver raccontato un fatto vero, una vigilessa che denuncia per molestie suoi colleghi del quale il giornalista può essere venuto a conoscenza in molti modi ed è questo che rende ancor più incomprensibile la condanna ad opera del Tribunale di Teramo per violazione del segreto istruttorio".
Solidarietà anche dal presidente dell'Ordine dei Giornalisti d'Abruzzo, Stefano Pallotta, secondo il quale "i giornalisti hanno l'obbligo di pubblicare le notizie che ritengono di interesse pubblico. Non possono tenerle nel cassetto perché coperte da segreto istruttorio: abdicherebbero alla loro funzione e non possono permetterselo. È molto comodo condannare i giornalisti e far finta di nulla nei confronti di chi quelle informazioni le ha fornite loro. In molti Paesi di più consolidata tradizione liberale non si condannano i giornalisti, ma i veri colpevoli di quel reato".
Anche quella della pena sospesa, che evita agli imputati di pagare l'ammenda, secondo Falconi, è invece un danno ulteriore:"Significa che per questa volta non dovranno sborsare una somma minima ma, di fatto, toglie loro la possibilità di usufruire in futuro della sospensione della pena. Somiglia molto a un avvertimento, come per dire: 'La prossima volta prima di scrivere pensateci due volte'".
Questa sentenza, da ultimo dei blogger, è dedicata ai giornalisti.
A quelli che credono in questo lavoro.
A quelli che credono nella libertà di stampa.
A quelli che battono il marciapiedi.
A quelli che scrivono e indagano anche per la Procura, per le PG, per le Istituzioni.
A quelli che credono al servizio pubblico per la gente e per il sociale.
A Fabio Capolla che non mi ha lasciato solo e non ha fatto la scelta facile di oblare la condanna.
Al mio amico Giandonato Morra.
Alla mia amica Anna Capponi.
Ai miei genitori per l'amore.
A mia cognata, l'avv.Giuseppina Di Massimo e alle sue ricerche.
A mio fratello, l'avv.Gianni Falconi e alla sua grande preparazione.
Una sentenza che diventa un principio fondamentale per il lavoro dei giornalisti.
Non ho nulla da dire al Procuratore d.ssa Laura Colica.
La sentenza della Cassazione è la giusta sintesi del suo lavoro.
Non ho nulla da dire al Giudice Got, Massimo Biscardi, avrà modo di studiare le motivazioni della sentenza della Cassazione.
Mi auguro che possa servire per il futuro, per evitare che un imputato senza un fratello avvocato, senza possibilità economiche, non possa arrivare in Cassazione per difendere un principio di diritto.
Sono contento?
No.
Questa è una sconfitta per tutto il sistema Teramo.
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