La premessa è in sintesi una perla di saggezza antica: “Solo i paracarri non cambiano idea”.
Aggiungo io: “Solo i paracarri non si muovono”.
Non sono contrario al cambiamento e ripudio l’inamovibilità degli uomini e dei loro prodotti, ma la Riforma della Costituzione oggetto del quesito referendario non mi convince, non la ritengo utile né necessaria, ragion per cui il 4 Dicembre voterò: NO!
Caro lettore, se mi concedi il privilegio della tua pazienza, cercherò di motivare il mio personale giudizio negativo.
La Costituzione entrata in vigore il 1° Gennaio 1948 è erede di una società che era stata per due secoli la più arretrata tra quelle esistenti in Europa, che proveniva da condizioni economiche e sociali in gran parte feudali, dal dramma della dittatura e dalla tragedia della guerra. Conseguentemente, non essendoci nulla che potesse essere recuperato da un passato che andava ricordato solo per fare diversamente e dovendo quindi inventare un impianto giuridico ex novo, furono fatte, dai Padri Costituenti, due scelte:
1) fare una Costituzione “rigida”, dando cioè poche possibilità di cambiamenti costituzionali motivati da interessi particolari, di casta, di classe, di contingenze politiche, salvo gli aggiornamenti (non di merito, ma di metodo) necessari all’evoluzione sociale;
2) fare una Costituzione largamente “d’indirizzo”, che cioè contenesse in tutta la sua prima parte (che per questo veniva divisa in quattro titoli, dedicati ai rapporti civili, ai rapporti etico-sociali, ai rapporti economici, ai rapporti politici) degli assiomi utili al legislatore, presente e ancor più futuro.
Futuro? Si! Non a caso, nel 1988,Leopoldo Elia scriveva: “La Costituzione è un processo e nel suo discorso alla Costituente del 13 marzo 1947, Moro aveva visto con lucidità che una Costituzione-programma non può compiutamente realizzarsi in una fase temporale circoscritta. Questo non deve costituire un alibi per noi, però deve costituire un motivo di non disperazione perché quando si dà una Costituzione-programma di questa natura, allora siamo di fronte, come diceva Moro, ad una lotta che non è finita adesso e che non può finire: perché la lotta per la libertà e per la giustizia sociale deve impegnare la nostra generazione, ma anche tutte le altre generazioni che verranno”.
Calamandrei, dotato di maggiore sintesi rispetto al giurista pugliese, definiva la Costituzione “presbite”, una Costituzione, cioè, che vedeva e doveva vedere lontano.
Inoltre, la Costituzione del 1948 è frutto di una sintesi – apparentemente quasi impossibile - tra le forze politiche presenti nell’Assemblea, perché la visione del “come” dovesse essere la società italiana era spesso tra loro conflittuale. Sintesi necessaria, però, per poter dare alla Costituzione quel compito di grade respiro che la “Legge delle leggi” deve avere per natura. Non venne, quindi, elaborata una Carta Costituzionale a colpi di maggioranza, bensì si ritenne opportuno produrre delle rinunce pregiudiziali principalmente sul piano ideologico.
Ciò fu reso possibile dall’altissimo livello, politico, scientifico, culturale dei costituenti, dal loro rappresentare (e saperlo) la parte migliore della Nazione: Umberto Terracini, Piero Calamandrei, Luigi Einaudi, Giuseppe Paratore, Gustavo Ghidini, Lelio Basso, Giuseppe Di Vittorio, Antonio Giolitti, Giorgio La Pira, Emilio Paolo Taviani, Giuseppe Dossetti, Aldo Moro, etc…Condivisione e rappresentanza furono le parole chiave dei padri costituenti che si tradussero nella votazione finale: 453 favorevoli e 62 contrari.
Oggi i padri della Riforma Costituzionale hanno un pedigree diverso, poiché protagonisti della crisi del parlamentarismo politico prevista, peraltro, proprio da Piero Calamandrei.
In Critica Sociale, egli scriveva che la crisi sarebbe dipesa dalla natura del mandato parlamentare, secondo che fosse concepito come un munus publicum che si assume per dovere civico oppure come una professione che dà da vivere a coloro che ne sono investiti. Oggi deputati e senatori sono diventati professionisti della politica, degli impiegati scelti da un “Capo”.
Ed ecco alcuni “impiegati scelti” che si sono improvvisati Costituenti: Maria Elena Boschi, Gennaro Migliore, Lorenza Bonaccorsi, Matteo Colaninno, Vittoria D’Incecco, Tommaso Ginoble, Gianluca Fusilli, Davide Faraone, Denis Verdini, Marianna Madia, Maurizio Lupi etc…
Ma veniamo ai punti della Riforma; del “Capo” e di coloro “in attesa di rioccupazione” dirò più avanti.
1) Si può cambiare la Costituzione?
Certamente! Ma la Costituzione si cambia in nome della Costituzione.
L’art. 138 della Carta dice come operare.
Le strade sono due: o una serie di riforme puntuali articolo per articolo, o l’espressa convocazione, ed elezione popolare, di un organo costituente. La riforma Boschi (dal nome della proponente) non fa né l’una né l’altra cosa. Inoltre, invece di proporre modifiche puntuali a singoli articoli o segmenti della Costituzione, come è finora sempre avvenuto, la si stravolge, adesso, cambiando la forma di Stato e la forma di Governo.
Infatti, dal 1948 al 2012 sono stati modificati solo 43 articoli mentre l’attuale proposta di riforma ne muta in un colpo solo 47. Si aggiunga che, scorrendo sempre gli scritti del costituente Calamandrei, il Governo non dovrebbe prendere iniziative di riforme costituzionali: “Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana”.
Orbene, la proponente e prima firmataria della riforma è un membro del Governo.
Questa è una riforma del Governo e della magmatica maggioranza che lo sostiene.
Maggioranza inciucista e non eletta dal popolo, ma nominata dai capi-bastone.
2) Il cambiamento implica il passaggio da una complessità divenuta incomprensibile verso una maggiore chiarezza dell’enunciato e del programma? Sì! Non nel caso della Riforma Boschi. Valga l’esempio dell’art. 70 della Costituzione: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Modificato dalla riforma in: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all'articolo 71, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di senatore di cui all'articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma. Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei Deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all'esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L'esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all'articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all'articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d'intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati”.
Alla faccia della semplificazione. Chiunque sia in grado di comprendere l’enunciato può contattarmi.
3) Il bicameralismo all’italiana non funziona?
Certo che non funziona, va migliorato e ciononostante rappresenta, oggi, il male minore. L’attuale Riforma afferma la necessità del monocameralismo, ma semplicemente non lo attua. Ridurre i parlamentari è altra cosa e non serve una Riforma Costituzionale per farlo.
Nessun risparmio e nessuna abolizione del Senato, temi spacciati dal Governo, e non previsti dalla Riforma. Sveglia! Allo stesso modo, nessuna provincia è stata abolita: due restano in piedi con lo stesso nome (Trento e Bolzano), dieci diventano città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Roma, Napoli e Reggio Calabria), se ne aggiungono altre cinque per legge regionale (Palermo, Catania, Messina, Cagliari, Trieste)…le altre?
Ci sono ancora, con conseguente caos del trasferimento del personale e delle competenze verso…Regioni, Comuni.
Il buongiorno si vede dal mattino.
Il Senato non viene abolito. Semplicemente ridotto, ma non ridotte le procedure bicamerali di approvazione delle leggi. In effetti, la Riforma qualcosa produce: non eleggeremo i senatori, ma essi saranno scelti dalle Assemblee regionali e, dulcis in fundo, essi non rappresenteranno la Nazione (art 67 della Riforma Boschi).
Tra i banchi dei senatori a vita ci saranno i Presidenti della Repubblica Emeriti che non rappresenteranno più l’Italia come Nazione, ma le Regioni. Napolitano? Non pervenuto! È impegnato a favore del Sì. A mio modestissimo giudizio, insieme a Scalfaro (in seconda posizione), il peggiore Presidente della Repubblica.
4) Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità della Nazione?
Sì! Ma per la Riforma Boschi non è necessario che a votarlo sia la maggioranza dei parlamentari. Mi spiego. Ad eleggere il Presidente, secondo la Riforma, saranno come sempre deputati e senatori (art. 83), ma con una differenza rispetto al passato e cioè: nei primi tre scrutini la maggioranza dei due terzi dell’assemblea (come da Costituzione vigente), dal quarto scrutinio la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea e dal settimo scrutinio – udite udite – la maggioranza dei tre quinti dei votanti. E siccome la matematica non è una opinione, ad eleggere un Presidente potrebbero bastare anche 10 deputati su, per esempio, soli 15 votanti. Inaudito!
Gli assenti dall’aula avranno sempre torto e il nuovo Presidente non rappresenterà la Nazione, ma sarà il “domestico” dell’Esecutivo.
5) La proposta della nuova Legge Elettorale combinata alla Riforma Costituzionale risponde all’art. 10 del Trattato sull’Unione secondo il quale “ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione, le decisioni sono prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini?”
No!
Non si eleggono direttamente i rappresentanti che sono scelti nelle segrete stanze e, soprattutto, si consegna al vincitore un premio di maggioranza imbarazzante e degno della migliore tradizione “Acerbo”. Dopo il porcellum - perdonatemi il climax ascendente - c’è il penetrellum.
Potrei dilungarmi nel citare altri punti imbarazzanti della Riforma, ma perdonatemi se in conclusione mi soffermo sulla vera mente pensante il tutto: Renzi!
Sappiate, però, che il Premier è malato.
La patologia che lo affligge è allo stesso modo una peste che colpisce l’intera classe politica, ma in lui, i segni, le ulcere sono sempre più visibili.
Il morbo dello storytelling, della narrazione.
Il Narratore (identificativo di Renzi) manipola i dati e talvolta li inventa facendo leva sulle emozioni umane. Il Narratore descrive una realtà inesistente, non dei fatti, ma delle aspettative e dei desideri, nutrendosi e nutrendo i cittadini di pretese buone notizie.
Lo storytelling,ben lungi dall’essere una tecnica di comunicazione, è diventato un programma di governo.
E nella nuova vulgata, Il Narratore sostiene che “le riforme” sono necessarie: “l’Italia del fare”, “l’azienda Italia”, la “governabilità”, il “Jobs Act”, la “Buona Scuola”… Occhio! Perché la noetica dello storytelling è l’anticamera del populismo e della vera antipolitica. Il Narratore dovrebbe realmente chiarire agli Italiani il senso profondo della sua appartenenza alla finanza internazionale, che comanda realmente l’attuale governo italiano.
Il Narratore dovrebbe chiarire agli Italiani se i Diktat delle banche e dei centri della finanza valgono molto più dei diritti della persona. Il Narratore dovrebbe chiarire agli Italiani quali siano le reali emergenze del Paese.
Se esse corrispondano, per esempio, ad un rinnovata attenzione “all’interesse della collettività”, “all’interesse generale”, “all’utilità sociale”, ai “fini sociali”, alla “funzione sociale”, “al pubblico interesse”.
Il Narratore - dubito abbia mai letto con attenzione la Costituzione - troverebbe, in essa, espresso il principio ordinatore del “bene comune” e non la narrazione di un programma economico. Ma Il Narratore, patologicamente, soffre di effetti collaterali acuti. Una forte supponenza, con picchi di arroganza, e abissi di ignoranza.
Io andrò a votare, e vi invito a fare altrettanto, e voterò per il NO!
Mi faranno compagnia una schiera di “rottamati”. Vogliono riposizionarsi, alla luce del: “Lui è peggio di noi”.
I vari D’Alema, Berlusconi, De Mita, ci hanno provato anche loro a deturpare la Costituzione, ma ad essi concedo un alibi: quello dell’esperienza, che è la sommatoria degli errori. E siccome di esperienza ne hanno fin troppa…
Comunque andrà, ritengo che nulla cambi per l’attuale Governo.
Vinca il NO, non ci saranno cataclismi, con buona pace dell’ipocrita Obama e dei narratori di Bruxelles.
Il Narratore rimarrà sulla cadrega, causa la totale assenza di un’alternativa (la Destra defunta e i Grillini troppo intenti a leggere Rousseau e ad ignorare Montesquieu), ma almeno saprà che la sua narrazione non incanta gli Italiani.
Quanto alla nostra Costituzione, ha ragione Settis: “Attuarla è meglio che cambiarla”.
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